Francesco Guccini
Nel 1965 Guccini scrive Dio è morto. Il dolore che sconquassa il mondo fa trarre questa conclusione, ma se ti guardi dentro scopri che non è Dio che è morto, bensì l’uomo che confonde il male con il bene. Attualissimo il testo: “Ho visto la gente della mia età andare via lungo le strade che non portano mai a niente, cercare il sogno che conduce alla pazzia nella ricerca di qualcosa che non trovano nel mondo che hanno già, dentro alle notti che dal vino son bagnate, lungo le strade da pastiglie trasformate, dentro le nuvole di fumo del mondo fatto di città, essere contro ad ingoiare la nostra stanca civiltà. È un Dio che è morto: ai bordi delle strade Dio è morto, nelle auto prese a rate Dio è morto, nei miti dell’estate Dio è morto. Mi han detto che questa mia generazione ormai non crede in ciò che spesso han mascherato con la fede, nei miti eterni della patria o dell’eroe, perché è venuto ormai il momento di negare tutto ciò che è falsità: le fedi fatte di abitudine e paura, una politica che è solo far carriera, il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto, l’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto. È un Dio che è morto, nei campi di sterminio Dio è morto, coi miti della razza Dio è morto, con gli odii di partito Dio è morto. Ma penso che questa mia generazione è preparata a un mondo nuovo e a una speranza appena nata, ad un futuro che ha già in mano, a una rivolta senza armi, perché noi tutti ormai sappiamo che se Dio muore è per tre giorni e poi risorge: in ciò che noi crediamo Dio è risorto, in ciò che noi vogliamo Dio è risorto, nel mondo che faremo Dio è risorto. Credere, volere, fare. Cuore, testa, stile di vita.
Celentano e De Andre’
Nello stesso anno Celentano interpreta Pregherò: “Non puoi odiare Dio perché non puoi vederlo, ma c’è; io con il mio amore ti farò vedere Dio”. Cuore, testa, stile di vita, appunto. De André con Si chiamava Gesù (1966) mostra l’opposizione: Dio si fa uomo, ma l’uomo vuole prendere il posto di Dio. In Preghiera in gennaio (dedicata al suicidio di Tenco) Dio accoglie chi ha sofferto. Lo sfondo è eretico, ma tuttavia De André è affascinato dal sospetto dell’esistenza di Dio: in Buona novella (1969) gli preme dimostrare come “un uomo straordinario” (che non è Dio per lui) abbia insegnato al mondo la pietà.
Gaber e Vasco Rossi
Gaber (Io se fossi Dio 1980) mostra invece che per fortuna Dio non è vendicativo come noi. Nel 1983 Vasco Rossi in “Portatemi Dio” se la prende con Dio intimandogli senza pudori di presentarsi in giudizio e attribuendosi il potere di giudicarlo. Vasco non se la prende con Dio per le ingiustizie e i dolori dell’umanità, bensì per le colpe che il Signore avrebbe nei suoi confronti: “Gli devo raccontare la vita che ho vissuto e che non ho capito a cosa sia servito”. Quante volte l’uomo accusa Dio come alibi giustificativo ai propri eccessi o errori.
Dio nelle canzoni
Poi per dieci anni sembra quasi che le canzoni facciano silenzio sul tema di Dio. Dio nelle canzoni. Non c’è. Sono gli anni del benessere ed è come se Dio non servisse. Ma il ben-essere non fa star-bene e allora torna una altalenante sete di senso negli anni Novanta. “Qui Dio non c’è” canta nel 1990 Baglioni affrontando il bisogno di Dio. “Dio c’è” canta Mia Martini(1992): “Non ci sono più valori nella vita, no! Dio, Dio, chi ci crede più! Occhi al cielo e suole al suolo. Amore, come vedi la morte delle idee non lascia buoni eredi. C’è bisogno di un sogno in questo mondo senza uscite. Puoi darmelo tu: Dio c’è! Ti bussa per lavarti i vetri proprio lì davanti dove non lo vedi [Dio non si va vedere, ma ti fa vedere]. Dio c’è, Dio esiste, nonostante questo nero Dio resiste e tu gridalo se credi: Dio c’è canta con me. Dio è risorto”. Poi ritorna il contrario con “Dio non c’è” di Marco Masini (1993). Nel 1994 Gino Paoli canta “Il Dio distratto”: le cose non vanno perché Dio non è attento. Qualcuno bussa: “Un giorno un sogno” di Biagio Antonacci (1994) o “Hai un momento Dio” di Ligabue (1995). Nel 1996 Raf canta “Oggi un Dio non ho”. “Oggi”, però domani chissà, se me la sento, tipico della nostra società liquida. Questo è il punto più basso, il tiepido è peggio dell’ateo.
Nek
Con Nek (2003) ci chiediamo “Hey Dio, avrei da chiederti anch’io cos’è quest’onda di rabbia, Dio vorrei sapere anche io se questo mondo malato può ancora essere mio… Ma infondo sai cosa c’è, hai ragione sempre te… Che c’è bisogno d’amore, è tutto quello che so, per un futuro migliore, per cominciare da capo e ritrovare una coscienza… io voglio cominciare da qui…”
Giorgio Gaber
In tutta questa fatica profonda di ricerca, Giorgio Gaber mi aiuta a fare sintesi. Il suo sguardo critico ironico parte dal guardare “tutta la normalità umana”. Nella fatica del vivere per “il signor G” i valori cristiani sono l’espressione più compiuta dell’umano laico. “Mi guardo intorno, vedo che ci stiamo tutti abituando al grigiore, alla piattezza, alla rassegnazione. E mi accorgo che il mio compito, il mio lavoro, è quello di dire le cose che gli altri non dicono”. Sente l’urgenza di un’etica nuova: “Nonostante tutto ci deve essere un modo per fare l’amore altrimenti non siamo uomini, ma involucri vuoti. Amare l’altro, l’attività più spontanea e insieme più necessaria del vivere. Stiamo dimenticando come si fa e cosa vuol dire, ci stiamo scordando l’amore”. “No, non fa male credere, fa molto male credere male. È meglio una rabbia spudorata di chi urla il suo bisogno disperato di una fede. Dio c’è, io insisto. È un Dio un po’ strano che insegna la follia di ribaltare sempre il piano”.
Se ci fosse un uomo
L’ultima canzone di Gaber è “Se ci fosse un uomo” (2000), un Dio-uomo a cui ognuno possa almeno un po’ assomigliare per essere più uomo. È questa l’ipotesi su Gesù che si offre come senso e diventa scelta di uno stile di vita. Questa luce gli arriva attraverso il buio della malattia. È il suo testamento spirituale. “Se ci fosse un uomo, un uomo nuovo, forte nel guardare sorridente la sua oscura realtà del presente. Se ci fosse un uomo forte come una vita che é in attesa di una rinascita improvvisa. Se ci fosse un uomo generoso e forte nel gestire ciò che ha intorno senza intaccare il suo equilibrio interno, forte nell’odiare l’arroganza di chi esibisce una falsa coscienza, forte nel custodire con impegno la parte più viva del suo sogno. Questo nostro mondo ormai è impazzito e diventa sempre più volgare, popolato da un assurdo mito che è il potere. Questo nostro mondo è avido, sempre in corsa e sempre più infelice, popolato da un bisogno estremo e da una smania vuota. Se ci fosse un uomo… allora si potrebbe immaginare un umanesimo nuovo con la speranza di veder morire questo nostro medioevo. Allora si potrebbe immaginare un neo rinascimento, un individuo tutto da inventare in continuo movimento. Con la certezza che in un futuro non lontano al centro della vita ci sia di nuovo l’uomo. Un uomo affascinato da uno spazio vuoto che va ancora popolato. Popolato da corpi e da anime gioiose che sanno entrare di slancio nel cuore delle cose. Popolato di gente innamorata, ma che crede all’amore come una cosa concreta. Popolato da un uomo che ha scelto il suo cammino senza gesti clamorosi per sentirsi qualcuno. Popolato da chi vive senza ipocrisia col rispetto di se stesso e della propria pulizia. Popolato da chi odia il potere e i suoi eccessi ma che apprezza un potere esercitato su se stessi. Popolato da chi ignora il passato e il futuro e che inizia la sua storia dal punto zero. Popolato da un bisogno che è l’espressione di un gran senso religioso ma non di religione. Popolato da chi crede in una fede dove la morte scompare quando appare la vita. Popolato da un uomo cui non basta il crocefisso ma che cerca di trovare un Dio dentro se stesso”. È così: “una fede che non mette in crisi, è in crisi” (Papa Francesco).