Il difficile tempo che stiamo tutti vivendo ci insegna molte cose. La nostra società evoluta e tecnologica s’interroga sul valore della persona, del rapporto umano, della fragilità del sistema sanitario e di altre strutture organizzate (politiche, finanziarie, culturali, scolastiche).
Gli anziani sono tra coloro che stanno pagando di più: molti di noi hanno parenti o amici anziani in difficoltà o che ci hanno lasciati. Ma gli anziani hanno ancora un significato e un ruolo nella nostra società? Sono ancora in grado di dirci e di darci qualcosa? In una cultura che in pochi decenni è passata da agricola a virtuale, ciò che andava bene per l’ieri varrà anche per il domani? Sono domande che ci interpellano. Negli anni dell’emergenza sanitaria per il Covid – ma ancora oggi nelle strutture ospedaliere, nelle Residenze Socio Assistenziali, a casa propria o presso parenti – molti anziani stanno trascorrendo giornate che non finiscono mai: isolati, tristi, demotivati, talvolta dimenticati da chi si dovrebbe prendere cura di loro.
Il Libro dell’Ecclesiaste (cap. 12) descrive in poche righe l’esperienza dell’affievolirsi delle forze fisiche e psichiche: «prima che vengano i giorni tristi e giungano gli anni di cui dovrai dire “non ci provo alcun gusto”, prima che si oscuri il sole, la luce, la luna e le stelle e ritornino le nubi dopo la pioggia; […] quando si abbasserà il rumore della mola e si attenuerà il cinguettio degli uccelli e si affievoliranno tutti i toni del canto; quando si avrà paura delle alture e degli spauracchi della strada». Ma tutto ciò non provoca nel credente smarrimento o disperazione, perché nella Bibbia la vecchiaia è presentata sempre come un’età benedetta. L’anziano è apprezzato come l’uomo della sapienza, del consiglio e del giudizio: fondamento di questo rispetto è la legge presente nel Levitico: «Alzati davanti al capo canuto, onora la persona del vecchio e temi il tuo Dio. Io sono il Signore» (Le 19,32). Alla luce della Parola di Dio, l’anzianità non è dunque un tempo di decadimento, di rinuncia e di chiusura. È un tempo diverso, certo, ma non meno fecondo per sé e per gli altri. Nella vecchiaia si porta ancora frutto: meno frutto, ma non è la quantità che conta. Frutti diversi, ma basta saperli cogliere. La vecchiaia non è quindi una disgrazia, ma una grazia. È una ricchezza, non una povertà. Pur con i suoi limiti e i suoi acciacchi, dobbiamo considerarla un dono di Dio (talvolta difficile da accettare), l’occasione di una maturità umana e spirituale, di una testimonianza di fede da offrire ai più giovani.
Oggi però è molto difficile vedere in questo modo la figura della persona anziana perché le differenze tra le generazioni sono più accentuate. La velocità delle mutazioni sociali ha fatto sì che tra il giovane di oggi e l’anziano di oggi ci sia talvolta un solco invalicabile di diversità di linguaggi e di valori. È necessario allora lo sguardo della fede, aperto verso l’orizzonte del cielo, per dare all’ultima stagione della vita il suo pieno valore. Non si tratta di una “riverniciatura”: la verità del messaggio biblico tocca direttamente l’essenza della nostra vita e del nostro destino. È quanto mai opportuno avviare una riflessione onesta su come la società contemporanea debba farsi “prossima” alla popolazione anziana, soprattutto quella più debole e la pandemia per certi versi ha rinforzato la consapevolezza che la “ricchezza degli anni” è un tesoro da proteggere. La debolezza degli anziani è anche una provocazione: invita i più giovani ad accettare la dipendenza dagli altri come modo di affrontare la vita. Una società che sa accogliere la debolezza degli anziani è capace di offrire a tutti una speranza per il futuro mentre togliere il diritto alla vita di chi è fragile significa rubare la speranza, soprattutto ai giovani. Ecco perché scartare gli anziani è un grave problema per tutti, perché implica un messaggio chiaro di esclusione. Al contrario nelle Scritture si legge che «la debolezza di Dio è più forte degli uomini» (1Cor 1,25) e ciò che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti (cfr. 1Cor 1,27).
I cristiani in particolare, allora, debbono interrogarsi con l’intelligenza dell’amore per individuare strade nuove con le quali rispondere alla sfida non solo dell’invecchiamento quanto della debolezza, perché è innegabile che la malattia e la perdita di autonomia creano problemi e una legittima domanda di aiuto. Un racconto evangelico mette in luce le sorprendenti potenzialità dell’età anziana, la Presentazione di Gesù al Tempio. Sono due persone avanti con l’età, Simeone e Anna, a incontrare il Bambino Gesù: dei fragili anziani lo rivelano al mondo come luce delle genti e compimento delle promesse divine (cfr. Lc 2,32.38). Simeone prende Gesù tra le braccia: «Il vecchio portava il Bambino, ma il Bambino sorreggeva l’anziano» si legge nella liturgia orientale. La speranza scaturisce così dall’incontro tra due persone fragili, un bambino e un anziano, a ricordarci, in questi nostri tempi che esaltano la cultura della prestazione e della forza, che il Signore ama rivelare la grandezza nella piccolezza e la fortezza nella tenerezza.