Tra i santi più noti festeggiati nel mese di novembre vi è, il giorno 11 novembre, Martino di Tours (316-397 d.C.), soldato dell’Impero Romano e poi vescovo della città francese di Tours dal 371 fino alla morte.
Dalla parte di chi soffre
Molte vicende, alcune storiche, altre derivanti dalla devozione popolare riguardano questo santo, soldato e vescovo, umile e sapiente, patrono di molte città e nazioni. La più nota tra queste vicende è quella del mantello: Martino era un soldato importante nelle guarnigioni poste ai confini settentrionali della Gallia, presso Amiens, e possedeva una propria cavalcatura e schiavi per la sua persona. Faceva parte della guardia imperiale che garantiva l’ordine pubblico e la sicurezza dei personaggi importanti. Tra i suoi compiti c’era la sorveglianza notturna delle guarnigioni di confine.
Le vicende di san Martino di Tours
Durante una di queste ronde notturne, nel rigido inverno del 335 avvenne l’episodio che gli cambiò la vita. Incontrò un viandante seminudo e vedendolo sofferente e intirizzito tagliò in due il suo mantello militare e lo condivise con il mendicante. La notte seguente vide in sogno Gesù, vestito con la metà del suo mantello militare, che diceva ai suoi angeli: «Ecco qui Martino, il soldato che non è battezzato. Egli mi ha vestito». Quando al mattino si svegliò trovò il suo mantello integro. Dopo questo fatto Martino, già catecumeno, divenne cristiano, sacerdote, vescovo, e alla sua morte venne proclamato santo. Il mantello miracoloso venne conservato come reliquia ed entrò a far parte della collezione di reliquie dei re di Francia.
La figura del samaritano
Se volessimo abbinare questo santo a un personaggio evangelico subito ci verrebbe in mente la figura del samaritano (Lc 10, 25-37). Migliaia di libri hanno proposto esegesi di tutti i tipi sui personaggi di questa parabola: dalla persona del samaritano (colui che si fa prossimo all’uomo ferito) a quella del sacerdote e del levita, dal gestore della locanda fino alla figura del povero mulo che è costretto a portare, oltre che il suo padrone, anche la persona ferita.
L’uomo che scendeva da Gerusalemme
Paradossalmente forse il personaggio meno commentato è stato colui che apre il racconto: quell’uomo che scendeva da Gerusalemme a Gerico e venne assalito dai briganti. Tante volte abbiamo ascoltato nella catechesi, o nell’omelia durante la santa messa, riflessioni che identificano la figura e l’azione del samaritano a quella del cristiano. L’attenzione e l’aiuto concreto alla persona ferita sono il modello per l’azione cristiana Indica la condivisione con chi è ammalato, disabile, anziano, emarginato.
Un’interpretazione diversa
Oggi, però, vi propongo una diversa interpretazione: il cristiano dovrebbe identificarsi proprio con la persona ferita, con quell’uomo che scendeva da Gerusalemme a Gerico: è una persona che ha bisogno di aiuto, che dipende dagli altri, che attende sul ciglio della strada qualcuno che lo salvi. Il cristiano per primo deve riconoscere le proprie ferite e il proprio bisogno di incontrare qualcuno che lo aiuti e lo accompagni alla locanda della guarigione. Il sacerdote e il levita, simboli della vecchia legge, non ce la fanno ad aiutarlo, non lo vedono e non si fermano. Occorre qualcuno che pulisca le ferite e le disinfetti; qualcuno che lo sollevi dalla polvere e con lui faccia un pezzo di cammino. Abbiamo ben compreso chi può essere questa persona; chi ci può guarire dalle nostre ferite.
Riconoscersi nel povero assiderato
E allora il cristiano, prima di identificarsi con il samaritano che aiuta, si riconosca nella persona ferita che ha bisogno di aiuto. Imparerà a vedere il proprio servizio e la propria vocazione alla carità in maniera diversa; imparerà che prima di essere ringraziato per ciò che fa deve ringraziare per ciò che viene fatto a lui. È bello e gratificante pensare di assomigliare a Martino che si priva di metà del proprio mantello, ma forse è più vero riconoscersi nel povero assiderato dal freddo che incontra chi può riscaldargli il corpo e soprattutto il cuore.