La lettera dal convento di oggi, venerdì 13 gennaio: “Quando si pensa ai religiosi e alle religiose, ai monaci, ai frati e alle suore, ciascuno di noi sa, quasi inconsciamente, che ciascuno di essi ha emesso di tre voti di povertà, castità e obbedienza. Ciò avviene in quel momento in cui un religioso emette la professione pubblica di questi tre voti, durante una celebrazione liturgica, pertanto assieme alla Chiesa, che di solito coincide con la Santa Messa. La religiosa o il religioso si inginocchia dinnanzi al proprio superiore, mette le proprie mani nelle sue, recita la formula di professione, che è un testo antichissimo, e, quindi, firma sull’altare quello stesso testo che, di solito, è scritto su una pergamena. Da quel momento il frate, la suora o il monaco sono tali per sempre. Si tratta, ovviamente, del risultato di un lungo percorso di formazione all’interno dell’Ordine o della Congregazione di appartenenza iniziato, però, con una chiamata chiarissima di Dio percepita dall’interessato. La vita religiosa, pertanto, si sceglie solo per fede, ossia perché un uomo e una donna credono che Dio Padre esista e che li abbia chiamati. Ciò vale anche per tutti i sacerdoti e, oggigiorno, anche e soprattutto per i credenti che si uniscono nel matrimonio cristiano, tuttavia con delle differenze. Vediamo quali.
Un desiderio irresistibile
L’esperienza di percepire nel proprio cuore Dio che chiama è al contempo unica, meravigliosa e irresistibile (Ger 15,16). È impossibile dire di «no», perché la potenza dell’attrazione è incontenibile. La chiamata di Dio è, infatti, percepita come il desiderio di seguire un “fondatore”, per esempio san Francesco di Assisi, di vivere una vita come la sua e di andare missionario per annunciare il Signore Gesù Cristo (Mt 16,15). Nel primo aspetto è incapsulato il “colore” della vita consacrata, per cui diventare francescano, per esempio, significa acquisire il “carisma” che da San Francesco è arrivato fino ad oggi attraverso i frati, il che non è la stessa cosa se uno sceglie i Gesuiti o le Suore delle Missionarie della carità (Madre Teresa di Calcutta). Il carisma si riceve “per contagio” come fosse il tocco di una carezza di bene. Il secondo aspetto – quello di tentare di vivere una vita simile a quella del fondatore o della fondatrice – è fondamentale perché corrisponde al “vivere assieme”, tra monaci, frati e suore, fino al punto che ogni membro cambia, appunto il nome in “fratello di” e “sorella di”. Un o una giovane sceglie la vita consacrata innanzitutto per la vita in comunione, come dovrebbe essere la famiglia più grande che è la Chiesa. Infine, vi è il terzo aspetto, con il quale il religioso sa che, donando tutto se stesso, può, soltanto così, essere un missionario sempre pronto, come lo era Gesù (Gv 6,38). L’obbedienza, la povertà e la castità aiutano e creano un vantaggio nel potersi donare agli altri in maniera compiuta e libera, senza tanti legacci terreni.
«Sarete come angeli in Cielo» (Mc 12,25)
In Asia, in Africa e in America latina tanti giovani di ogni ceto sociale oggi scelgono la vita religiosa proprio come accadeva un tempo in Europa. Nel vecchio continente essa non si è stemprata del proprio smalto evangelico. Soffre, tuttavia, della strana congiuntura creatasi tra una cronica denatalità e la fede smorta di alcune comunità cristiane. Quei tanti giovani che, invece, oggi scelgono la vita consacrata lo fanno per la gioia che essa ancora sprigiona (Fil 4,5) e perché l’unico vero motivo che dà ragione dell’esistenza dei monaci, dei frati e delle suore sta nel fatto che essi ci ricordano qui in terra il Paradiso: la vita che verrà”.