Continua la pubblicazione, a puntate, dei contenuti del libro “Sono giovani i santi”, di fra’ Gianluigi Pasquale, edito da “La Fontana di Siloe” di Torino nel 2018. Questo venerdì scopriamo il sereno abbandonarsi alla Divina Misericordia: il segreto luminoso di Santa Faustina Kowalska.
Un fascio di luce a due colori
Conosco tante persone, anche giovani, che conservano tra le pagine di un libro o perfino nel portafoglio una meravigliosa e colorata immagine di Gesù misericordioso con il braccio destro alzato benedicente e quello sinistro indicante il proprio sacro cuore, da cui escono due raggi di luce, uno rosso e l’altro celeste e in basso la scritta «Gesù confido in Te». Guardo ammirato – e anche un po’ commosso – queste persone, che, magari in treno, osservano con occhi fiduciosi quella immagine e sillabano in silenzio sulle labbra qualche parola che io non sento, ma Lui certamente sì. So anche che a quella immagine è legata la «Coroncina della Divina Misericordia» che tanti recitano, magari, prima di coricarsi la sera. Viene spontaneo chiedersi: da dove è iniziata questa assai diffusa e capillare devozione alla Divina Misericordia che oggi nella Chiesa lega tra loro, come costituisse un filo d’oro finissimo, decine di migliaia di persone. Quale segreto è racchiuso in quella immagine di Gesù, da cui si dipanano due raggi colorati di luce?
Come cominciò
Tutto cominciò una domenica sera del 22 Febbraio 1931, la prima domenica di Quaresima. A motivo di un’apparizione di Gesù, che aveva ordinato a una suora, di nome Faustina, di dipingere un quadro, oggi noto in tutto il mondo, con la scritta «Gesù, confido in Te». Mentre il resto si sarebbe coronato, poi, ai nostri giorni, all’inizio del terzo millennio dell’èra cristiana, con l’istituzione della Festa della Divina Misericordia da parte del Papa polacco San Giovanni Paolo II (1920-2005) il 5 Maggio del 2000 e con l’attuale Giubileo della Misericordia indetto dal primo Papa che porta il nome di Francesco d’Assisi, dieci anni dopo, l’11 aprile 2015. Se non altro perché Suor Faustina viene espressamente citata nella Bolla di indizione del Giubileo della Misericordia (11 aprile 2015) con queste precise parole: «La nostra preghiera si estenda anche ai tanti Santi e Beati che hanno fatto della misericordia la loro missione di vita. In particolare il pensiero è rivolto alla grande apostola della misericordia, santa Faustina Kowalska. Lei, che fu chiamata ad entrare nelle profondità della divina misericordia, interceda per noi e ci ottenga di vivere e camminare sempre nel perdono di Dio e nell’incrollabile fiducia nel suo amore» (Misericordiae Vultus n. 24). Quella giovane suora, già da sei anni in Convento, da quasi un anno viveva nella casa della Congregazione delle Suore della Beata Vergine Maria della Misericordia di Płock, una cittadina situata al centro di una Polonia gelata, dall’interminabile e lungo inverno, coperta da una folta coltre di neve.
Quella frase sotto la nube: «Gesù confido in Te»
Faustina era appena tornata nella sua cella, ovvero nella sua angusta cameretta, piuttosto gelida in quel mese invernale. Entrò dopo aver cenato e pregato nella Cappella del convento. Si preparava ad andare a letto. Improvvisamente nella cella vide Gesù. «Una mano alzata per benedire e l’altra toccava la veste sul petto. Dalla veste scostata sul petto uscivano due grandi raggi, uno rosso e l’altro diafano – descrisse del Diario per noi oggi fonte ricchissima di informazioni –. In silenzio tenevo gli occhi fissi sul Signore, la mia anima era presa da timore, ma anche da una grande gioia. Dopo un istante Gesù mi disse: “Dipingi un quadro secondo l’immagine che vedi, con sotto la scritta “Gesù confido in Te”. Desidero che questo quadro venga venerato prima nella vostra cappella e poi nel mondo intero. Prometto che l’anima che venererà questo quadro, non perirà. Le prometto anche, già qui sulla terra, la vittoria sui nemici e soprattutto nell’ora della morte. Io stesso la difenderò come mia propria gloria”» (Diario, 47)
All’uomo e alla donna contemporanei sorge spontanea e immediata la domanda inerente la ragione per la quale Gesù, il Figlio di Dio in persona, abbia avuto bisogno di un’umile ed illetterata suora per far meglio conoscere la sua Divina Misericordia, addirittura ricorrendo all’uso di un quadro, e affidando a quella giovane creatura delle promesse di salvezza e di speranza per tutta l’umanità. E la domanda è giustificata, anche dal punto di vista teologico, perché apre il dibattito sul valore delle rivelazioni private concesse al alcuni e ad alcune dopo la Rivelazione definitiva attuata da Gesù durante i trentatré anni della sua vita terrena. Perché le apparizioni o rivelazioni «private» hanno semmai la funzione di mettere in evidenza alcuni aspetti dimenticati o sottovalutati. Per capire questo, però, dobbiamo fare un passo indietro.
Prima ancora di entrare in Convento
Prima di entrare in entrare in Convento, Elena – così si chiamava la giovane fanciulla che nacque il 25 Agosto 1905 a Glogowiec, distretto di Turek, prefettura di Poznan (attualmente Swinice Warckie, voivodato di Konin) in Polonia –, nel 1917, durante la prima guerra mondiale, iniziò a frequentare la scuola di Swinice e, benché fosse una bravissima scolara, dopo soli tre anni dovette rinunciare agli studi per lasciare il posto ai fratellini più piccoli. Un gesto eroico e di squisita abnegazione. In realtà, Elena aveva già deciso, all’età di quindici anni – nel 1920 – di consacrarsi totalmente a Dio. Attendeva soltanto che Lui, il Misericordioso, spalancasse le porte del convento che l’avrebbe accolta. Nel frattempo, il 18 maggio di quello stesso anno, nella Città di Wadowice, veniva al mondo il più illustre dei suoi contemporanei, Karol Josef Woityła, il Papa tanto amato dai giovani che in pieno Giubileo del Duemila istituì la Feste della Divina Misericordia da celebrarsi ogni anno nella seconda domenica di Pasqua e canonizzato, guarda caso, proprio da Papa Francesco domenica 24 aprile 2014, nella domenica in Albis. Tutte coincidenze fortuite, oppure un “filo rosso” con il quale il buon Dio tesse la trama della nostra storia della salvezza innervandola con le sue decisioni, per il nostro benessere attuale e per la felicità eterna del “per sempre” nell’incontro finale con il Padre misericordioso? Lo apprendiamo dai fatti.
Gesù guarda solo per poter amare di più
«Le suore, che in quel momento passavano accanto a quell’ala del Convento, videro una luce alla finestra, più chiara di un lume a petrolio» – ci ricorda suor Klawera Wołska, che fino a non molto tempo prima era stata la superiora della casa di Płock, ripetendo ciò che nel convento si è conservato grazie alla tradizione orale. Benché tra le consorelle cominciasse a spargersi la voce che Faustina aveva visto Gesù, le suore non si attardarono a guardarla con curiosità, a osservarla attentamente, a scorgere qualche gesto che potesse rimandare al soprannaturale. E dato che all’esterno non si distingueva per nulla, eccetto che per una particolare predilezione per il silenzio della preghiera – che solo nei conventi e nei monasteri possono essere ancora oggi, come allora, salvaguardati – la maggior parte di loro non credeva a quelle notizie. Anzi, alcune mettevano in guardia Faustina, le dicevano che era vittima di illusioni, che aveva troppa fantasia, addirittura che fosse un’isterica. Ciò nonostante, se anche tutti questi commenti la tormentavano interiormente, suor Faustina decise di non dare spiegazioni, ma di sopportare tutto in silenzio ed umiltà. Affidandosi anche lei, dunque, alla potenza della Divina Misericordia.
A questo proposito, leggendo la miniera d’oro che le pagine dei Vangeli sono, mi ha sempre attratto quella meravigliosa pennellata con la quale l’Evangelista Marco descrive lo sguardo rivolto da Gesù al giovane ricco, il quale «fissatolo lo amò» (Mc 10,18). Chissà quale raggio di luce misericordiosa deve essere entrato negli occhi del giovane possidente dall’iride di Colui che si è definito la «luce del mondo» (Gv 8,12). Parafrasando per paradosso il brano evangelico, si potrebbe anche affermare che, benché quel ragazzo non “se la fosse sentita” di seguire Gesù, bloccato dalle troppe, ricchezze, ciò nonostante era stato invaso dal «volto della misericordia» del Figlio di Dio. Proprio in analogia ai due raggi di luce colorata chiaramente intravisti da suor Faustina.
Oltre agli occhi del volto, vi sono anche quelli del cuore
È, dunque, corretto chiedersi adesso: perché è stata menzionata proprio suor Faustina nella Bolla che ha indetto il «Giubileo della misericordia»? Vi è, forse, un messaggio che dobbiamo scoprire? Osservata brevemente la sua esistenza possiamo ora meglio intuire come nella parola «misericordia» ne siano intese almeno altre due: il coraggio di perdonare – visto che il perdono ne esige molto – e l’importanza del cuore (“cor”), un organo del corpo che non solo batte per noi di giorno e di notte, ma che possiede anche degli occhi, appunto quelli del cuore. Ogni essere umano non si soddisfa soltanto nel contemplare il chiarore delle albe e l’arancione dei tramonti. Perché, per quanto incantevoli siano le luci create da Dio – come quella delle stelle –, esse, da sole, non basterebbero a dissipare l’oscurità delle tenebre che il mondo ci propina: il rancore del passato, l’incertezza sul presente, la paura del futuro. Se, invece, utilizziamo gli occhi del cuore, noi possiamo «vedere oltre» in modo misericordioso, l’altro pezzettino di Gesù che è presente in questo mio solo luogo di esistenza e in questi miei soli giorni di vita. Non in un altro paese, non in un periodo diverso. Lo aveva capito bene anche San Francesco d’Assisi, quando, scrivendo la «Lettera a un Ministro» (superiore) gli disse che non ci dovrebbe essere maistato nessun frate, per quanto peccatore, il quale «dopo aver visto i tuoi occhi se ne torni via senza il tuo perdono» (Fonti Francescane n. 234)
In una parola, il messaggio della Divina Misericordia trasmessoci da Suor Faustina gode di un’incredibile attualità: lei vide i due raggi della misericordia uscire dal sacro Cuore di Gesù. Ma anche noi possiamo vederli nel volto di qualsiasi fratello o sorella e nei loro scorgere i nostri, se oltre all’iride luminosa di un’esistenza donata a Dio, lasciamo trapassare anche l’energia e il desiderio di voler perdonare, mostrare la misericordia, infondere la speranza. La teologia francescana esprime questa idea in maniera molto semplice, così: in un uomo, Dio Padre non vede innanzitutto il colore degli occhi di quell’uomo, ma quelli del proprio Figlio Gesù e, partendo da questi, quelli di tutti gli uomini e di tutte le donne, perfino di quelli che noi non reputiamo credenti.