Niente: ogni anno, la storia si ripete. Arriviamo a questa domenica e il mio primo pensiero è: siamo già a Natale?
Perché, per tutti i cattolici, l’avvento precede il Natale e la solennità di Cristo Re precede l’Avvento. Per gli ambrosiani, però, le settimane sono sei, per cui inizia prima. Il motivo è che, dai tempi di Ambrogio, il Natale è stato sentito importante quanto la Pasqua e questo ha convinto ad adeguare, di conseguenza, anche il numero di settimane occorrente alla preparazione interiore per viverlo.
Il più potente del mondo
«Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto» (Dn 7,14)
Un re potente e glorioso, un regno indistruttibile: così descrive il profeta Daniele, con parole che gli esegeti e i liturgisti sogliono applicare a Cristo. Quello che l’Antico testamento precorre, il Vangelo vede realizzarsi. Un regno che diventa vicino. Un Dio che guarda negli occhi e si chiana sui più fragili. È questa la propspettiva – l’unica possibile – che ci presenta un Re Crocifisso…
Nessuna paura, di fronte ai nemici
«L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte» (1Cor 15, 26)
Un Dio condottiero, che si abbatte gagliardo su qualunque cosa incontri sul proprio tracciato.
Un Dio che ripudia ogni paura, persino quella di fronte allo spauracchio più giustificato per l’uomo, che è la morte.
Cristo, alla destra del Padre, Re glorioso tra i santi, Parola che ha effetto sul creato circostante, riveste il ruolo di governo e di giudizio, assumendo su di sé il gravoso compito di trovarsi faccia a faccia, vittoriosamente, con la morte.
Il re Piccolo
«Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra» (Mt 25, 34)
Finché non superiamo un certo buonismo, che spesso è solo un modo di facciata per scegliere di non trasformare l’empatia nell’opportuna di una correzione fraterna, questa pagina evangelica ci risulta senz’altro ostica e divisa. Chi si salva? Chi può ambire al ‘lieto fine’?
Non si può…
“Ma io sento di amare Dio, anche se non amo il prossimo”. Si può ? La risposta è no. Non si può disgiungere questi due poli della relazionalità.
Così, infatti, sintetizza Giovanni:
«Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo. Se uno dice: “Io amo Dio” e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. E Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo. Se uno dice: “Io amo Dio” e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. E questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello. questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello» (1Gv, 19-21).
Scorciatoie e profondità
L’amore verso Dio rischia di essere, talvolta, il modo più subdolo per evitare di metterci in gioco, davvero, nei confronti degli altri. Preferire l’amore di Dio e non sperimentare la ferita che provoca l’amore nei riguardi del fratello si manifesta, spesso, come una scelta di comodo, come l’alternativa non richiesta di affrontare una certa fatica.
Non si può amare solo Dio, perché Dio stesso si è incarnato, per indirizzarci verso un dono di sé che dice la gratuità dell’amore preveniente di Dio. È questo lo stile di Dio: è a questo che siamo chiamati a partecipare.






