Lo spunto di questo editoriale mi viene dato dalla scomparsa di mons. Lorenzo Calori, sacerdote della diocesi di Como morto venerdì scorso, al quale ero molto legato essendo stato prevosto della mia parrocchia natia. Dopo un attimo di smarrimento alla notizia della sua morte, ho iniziato a pregare e a pensare quale fosse il gesto più efficace, nella preghiera, che don Lorenzo mi ha insegnato oltre alla recita del rosario.
Nella liturgia della Messa vi è il momento della preghiera dei fedeli. E in ogni messa un’intenzione è rivolta alle persone che “dormono il sonno della pace”, coloro che ci hanno preceduto, tanto o poco tempo fa, nella casa del Padre che è nei cieli.
Mi sono chiesto: è solo una tradizione oppure è qualcosa di più importante? Perché vogliamo ricordare queste persone che prima di noi hanno fatto la nostra comunità pastorale? Ci sono tante risposte, ma una ora mi interessa: continuiamo a ricordarli per quello che hanno saputo testimoniare.
Non sappiamo se sono stati santi, anche se siamo certi che li ritroveremo in Paradiso, di sicuro sono stati testimoni.
Ma chi sono i testimoni? Ci viene in aiuto un’icona della Vergine Maria particolarmente cara a noi cristiani: la Visitazione. Quando Maria ha ricevuto l’annuncio di essere stata scelta per aiutare Dio a venire nel mondo pensa che la gioia della maternità del Figlio di Dio non può tenerla per sé, ma deve comunicarla agli altri, a tutto il mondo. Però è una fanciulla riservata, non può gridare nelle piazze ciò che Dio ha fatto in lei, si accontenta di compiere un gesto di affetto, di servizio: va a visitare la cugina Elisabetta, anche lei in attesa di un bambino.
E a Elisabetta porta non solo due braccia giovani e forti per l’aiuto materiale, ma Dio dentro di sé, il Signore nel suo grembo di fanciulla. Maria è testimone perché sa comunicare la propria gioia a Elisabetta e il primo che si accorge di questo lieto annuncio è proprio il bambino che Elisabetta ha in grembo. Ecco chi è il testimone: chi si accorge del fatto che Dio ha operato grandi cose e vuole coinvolgere anche gli altri in questa gioia, in queste grandi cose che ha fatto l’Onnipotente. Maria testimonia l’incarnazione; i nostri predecessori nella vita hanno testimoniato la gioia del dono ricevuto, il dono di vivere attraverso la vita parrocchiale la propria vocazione cristiana, la realizzazione di sé, la scoperta della propria strada verso la santità.
Ho ben presente colui che tanti anni fa, per primo, mi propose di fare il catechista in parrocchia: vedo ancora gli occhi di don Lorenzo che brillavano, la sua voce che quasi tremava nel raccontarmi la gioia del servizio verso il cammino di preparazione per i ragazzi che si avvicinavano alla santa Comunione e poi alla Cresima, le tante amicizie che in oratorio nascevano e continuavano poi nella scuola e nella vita quotidiana. Sono capace anch’io di essere un testimone? So comunicare, con la voce, con lo sguardo, soprattutto con la vita, questo dono che il Signore, attraverso i “vecchi” della nostra parrocchia, ha voluto farmi?
Spesso ci chiediamo perché oggi la vita parrocchiale abbia difficoltà nell’attrarre le persone, perché i giovani sono sempre meno presenti, perché si preferisca il cosiddetto «sono cose di altri tempi», meno impegnativo e meno profondo dal punto di vista spirituale. Forse non siamo capaci di essere testimoni di quello che facciamo, forse ci preoccupiamo poco di esserlo, accontentandoci della nostra personale esperienza di servizio e lasciando in secondo piano la carica di testimonianza che essa deve avere. E non ci accorgiamo che così rendiamo infruttifero il talento ricevuto, facciamo un cammino cristiano a metà, non aiutiamo la Chiesa ad adeguarsi ai tempi e a ciò che il desiderio di carità oggi richiede.
Chi ci ha preceduto nel cammino cristiano questo impegno l’aveva nel sangue, era naturale comportarsi così. Forse per noi è più difficile; e allora prendiamoci l’impegno, al termine di ogni giornata, di essere “attraenti ed attrattivi” proclamando con gli strumenti di oggi le «grandi cose che il Signore ha fatto in noi» affinché la gioia che ci viene donata sia trasmessa. Impegniamoci a ritrovare l’ansia di comunicare la bellezza del nostro essere cristiani, di «rendere ragione della speranza che è in noi». Questa è stata la testimonianza cristiana di don Lorenzo; questo è recuperare la ricchezza del passato trasformandola in speranza per il futuro.