Dopo la caduta del Muro di Berlino sarebbe stato inimmaginabile fino a qualche tempo fa, almeno in Europa, non partire da quel bene comune che era la pace acquisita dopo la tragedia della Seconda guerra mondiale. Pace tra nazioni che si erano affrontate per secoli come Francia e Germania. Eppure, lo vediamo dolorosamente, oggi il paradigma si è rovesciato: è ormai la guerra e non più la pace ad essere considerata come soluzione delle contese. Stiamo usando il male come farmaco che pretende di divenire la panacea di tutti i mali. Ma è veramente così? Davvero siamo costretti a pensare che il mondo debba rassegnarsi a una deriva inarrestabile di conflitti in cui solo la vittoria di una delle parti può far tacere le armi? La storia insegna che «ogni guerra lascia il mondo peggiore di come l’ha trovato», come affermava Papa Francesco nella Fratelli tutti, e che ci vogliono anni e anni per riparare i danni che ha provocato.
È per questo che, con convinta ostinazione – la stessa che animava Giovanni Paolo II quando convocò per la prima volta ad Assisi, nel lontano 1986, i leader delle religioni mondiali – dobbiamo continuare a «osare la pace». (…)
L’ideale è che non ci si può arrendere al rassegnato conformismo bellico di questi tempi, ma occorre “osare” anche quando tutti dicono che la pace è impossibile. Lo ripeteranno da diverse angolature e provenienze, i numerosi autorevoli rappresentanti delle religioni mondiali, delle istituzioni, del mondo della cultura: ben 400 delegati che animeranno 22 forum su temi di grande attualità come il disarmo, i migranti, le disuguaglianze che attraversano il mondo, il futuro dell’Europa e quello dell’Africa, il dialogo interreligioso e l’ecumenismo, senza dimenticare chi ha dato la sua vita in nome della fede, vittime della violenza, come i martiri contemporanei.
All’inaugurazione interviene il presidente Sergio Mattarella e alla cerimonia conclusiva Papa Leone, che ha iniziato il suo pontificato proprio nel nome di una pace «disarmata e disarmante», con la preghiera dei cristiani all’interno del Colosseo e l’appello di pace proclamato davanti all’Arco di Costantino. Presenti a Roma per l’evento i massimi leader religiosi come il grande imam di Al-Azar Al- Tayyeb e il capo dei rabbini europei Goldschmidt, autorità buddiste, induiste e di altri mondi religiosi asiatici. Si sentiranno voci dalle regioni del mondo che soffrono, con testimonianze di rifugiati che sono fuggiti dalle guerre e la presenza dei cardinali Pierbattista Pizzaballa per la Terra Santa e Fridolin Ambongo per il Congo.
Tutti costoro si faranno portavoce dei popoli che soffrono per i conflitti e le tante forme di violenza subite, come l’essere costretti a lasciare la propria casa e la propria terra di origine. È alle vittime, popoli e persone ostaggi dei conflitti, che è innanzi tutto dedicato questo incontro internazionale. Per un cristiano, come per ogni credente, la guerra è inaccettabile e non ci si stancherà di ripeterlo perché ai nostri giorni c’è troppa rassegnazione o quasi assuefazione agli scenari bellici, forse perché sono troppi, come sono innumerevoli le immagini crudeli e drammatiche che ci raggiungono ogni giorno. (…)
L’intuizione fu di continuare lo “spirito di Assisi” nato dalla visione profetica di Giovanni Paolo II. Il cammino nello spirito di Assisi possiede una forza di pace: ha l’autorità e il fascino del disinteresse perché non cerca nient’altro che una via pacifica tra le religioni e tra le nazioni. I leader religiosi che compiono tale cammino esercitano un ministero della pace in un mondo diviso. Amare il mondo non significa adattarsi alle sue paure ma testimoniare unità. Quelle di Roma, saranno giornate di preghiera e memoria. Un modo per raccogliere le lacrime delle tante vittime innocenti con l’ambizione di essere quel cuore che batte dentro una globalizzazione fredda e talvolta disumana, mantenendo viva la memoria degli orrori della guerra e guardando ai benefici della pace.
estratto dell’articolo di Marco Impagliazzo per Avvenire.






