Comincia oggi, e ci terrà compagnia ogni settimana, una nuova rubrica dedicata alla figura di un frate cappuccino vissuto a cavallo tra Cinque e Seicento: Tommaso da Olera. Uomo e religioso singolare è stato proclamato beato nel 2013. Conosceremo questa figura attraverso la pubblicazione di stralci di alcuni libri usciti in questi anni. Iniziamo da un volume intitolato “Tommaso da Olera, un anno con un mistico del Cuore di Gesù” di Sergio Calzone, scrittore torinese che per molti anni ha collaborato con il Dipartimento di Italianistica dell’Università di Torino. Pubblichiamo le prime pagine dell’ opera edita da Morcelliana.
I testi su Tommaso da Olera
Sulle opere principali del beato Tommaso da Olera, Selva di contemplazione e Scala di perfezione, sono stati scritti testi così informati e profondi, che sarebbe temerario, da parte mia, volervi aggiungere qualcosa. Penso, per non andar lontano nel tempo, alle nitide edizioni critiche delle due opere menzionate a cura di Alberto Sana, per i tipi di Morcelliana, le cui introduzioni e note ai testi lasciano ben poco spazio, con la loro esaustività, a interventi specialistici.
L’introduzione del libro
Se dunque devo dichiarare un intento per questa mia fatica, devo rifarmi alla benevola «provocazione» di padre Rodolfo Saltarin, vice postulatore della causa di santificazione di Tommaso da Olera, nonché uomo di cultura e di apertura mentale, e di colui che posso, con qualche ardire, chiamare amico: il sempre cortese Doriano Bendotti, prezioso legame tra il padre e il mio imbarazzo a rivolgermi direttamente a lui, per i limiti della mia fede e per la riconoscenza che, per altri versi, gli devo. Questa «provocazione» consiste nel cercare, in ogni mese dell’anno, una, due, tre emergenze religiose che stimolino un non specialista come me a riflettere sulle due opere di Fra Tommaso e a mettere su carta tali considerazioni.
Un profano di testi sacri
Da principio, la mia sensazione fu di onesta inadeguatezza: non sono teologo, non sono filosofo; ho soltanto coltivato, per tutta la mia vita, l’amore per la letteratura, scrivendone un poco, e, se questi due testi di Fra Tommaso hanno bensì grandi meriti, il loro unico limite è quello di una povertà sintattica, cioè proprio in quell’aspetto per il quale si arriva a una qualità di scrittura e si è abituati a valutare un’opera letteraria secondo i canoni tradizionalmente intesi. Tuttavia, a un secondo e cordiale invito non seppi dire di no, certo per la riconoscenza già citata nei confronti di padre Rodolfo, ma anche per una curiosità ormai impadronitasi di me: che cosa avrebbe saputo dire un profano di testi sacri, se non quelli «obbligatori» per un minimo letterato occidentale, circa opere che il suo autore dichiarava di aver tratte direttamente «dalle piaghe di Cristo»? Un tale «metodo» sconcerta lo studioso di romanzieri i quali, naturalmente, hanno ben altri modi di fare. E, poiché sconcerta, interessa.
Condividere impressioni e suggestioni
Quindi, il ricercatore non chieda a questi scritti approfondimenti che non gli può dare. Il lettore non specialistico potrà invece condividere (o respingere) impressioni, suggestioni, associazioni di idee che questo illetterato sapiente, questo idiot savant, per riprendere il titolo della splendida introduzione di Sana a Selva di contemplazione, può suscitare in chi si accosti alla sua scrittura più da riverente curioso che da esperto esegeta.
Le tappe della vita di Tommaso da Olera
1563-1580. Nacque a Olera (Bergamo), borgo medioevale della val Seriana immerso nei boschi cedui a 518 m di altezza, da Pietro Acerbis e mamma Margherita. Un paese, questo, dove c’era la chiesa con il suo parroco, ma mancavano le aule scolastiche e i maestri dai quali imparare a leggere, scrivere e far di conto. Da ragazzo conduceva al pascolo le pecore e da giovane lavorava sui campi.
1580-1581
A 17 anni lasciò la famiglia per raggiungere Verona e bussare alla porta del convento dei frati Cappuccini. Venne accolto e, trascorso un congruo periodo di attesa, il 12 settembre 1580 fu rivestito con il saio color bigello di quei frati. Iniziò così l’anno della prova. Il superiore lo introdusse nella spiritualità cappuccina e un frate laico lo abilitò a svolgere i servizi di casa: nell’orto, in cucina, in refettorio e in portineria.
1581-1584
Negli anni di formazione consolidò quanto aveva ricevuto in noviziato. Padre Giovenale Ruffini, editore dei suoi scritti, lasciò questa testimonianza: «Più dal interno Spirito insegnato […Tommaso fu] un colmo d’ogni sorte di virtù, specialmente d’un vero odio e disprezzo di se medesimo, d’un profondissimo abisso de humiltà, dalla quale […] scaturivano le gran fiamme dell’amor di Dio e del prossimo».
1584-1605
Terminato il triennio di formazione (5 luglio 1584) ‒ durante il quale gli venne insegnato a scrivere, dandogli la possibilità di esternare quanto gli urgeva dentro ‒, gli fu affidato l’ufficio della questua in città e dintorni. Negli anni a seguire mai dimenticherà l’ammonizione, scritta per il frate della cerca: «Sappia che dal suo comportamento dipende l’onore e la stima di tutta la religiosa famiglia cappuccina».
1605-1612
Dopo venticinque anni trascorsi a Verona, fu mandato «di famiglia» nel convento di Vicenza come frate della questua in città e campagna. Rimase nella città del Palladio per sette anni, durante i quali divenne «l’apostolo della vita consacrata» e, alla fine, collaborò alla costruzione di un monastero per giovani donne, formate da lui con incontri regolari e desiderose di consacrarsi a Dio nella vita contemplativa.
1613-1617
Non è possibile sapere con precisione quando giunse «di famiglia» nel convento di Rovereto. Si sa soltanto che vi rimase per circa quattro anni. È in questa città che incontrò l’adolescente Bernardina Floriani e senza indugi la sollecitò a realizzare un arduo progetto di vita monastica, perché voluto da Dio. Il buon Tommaso, dal canto suo, s’impegnerà nella costruzione di un monastero per lei e per le sue compagne.
1618-1619
Nella primavera del 1618 i superiori lo inviarono a Padova, la città del Santo, non già per andare alla questua, ma per svolgere l’ufficio di portinaio: aprire a chi avrebbe bussato alla porta del convento e offrire, a quanti si fossero presentati, pane e consolazione. Ci starà fino alla primavera dell’anno seguente, allorché verrà destinato «di famiglia» al convento di Innsbruck, perché lo voleva vicino a sé Leopoldo V.
1619-1631
Per tredici anni, cioè fino alla morte, le terre degli Asburgo saranno per lui, predicatore popolare e «fratello del Tirolo», terre di missione. Le visiterà con il medico Ippolito Guarinoni, uomo di vasta cultura, che lo introdurrà nelle corti dei prìncipi, nei tuguri degli umili e nell’istituto delle vergini di Hall. Ovunque andrà, incontrerà anime: sosterrà umili e potenti, convertirà i lontani e conforterà il cuore di molti. (A cura di padre Rodolfo Saltarin).
Testi di Sergio Calzone