Come ogni martedì torna la rubrica dedicata alla figura di Tommaso da Olera, il frate cappuccino vissuto a cavallo tra Cinquecento e Seicento e proclamato Beato nel 2013. Il testo è tratto da “Tommaso da Olera, saggezza umana e sapienza divina” a cura di Clemente Fillarini, Messaggero di Sant’Antonio Editrice.
La riflessione di oggi
Vedendo il popolo che Pilato non lo aveva condannato, dubitando che Cristo fuggisse la morte, pensa con che rabbia e furore lo presero, e cominciarono strascinarlo per la via alla volta di Erode, con speranza che egli lo avrebbe condannato alla morte (I 410).
Il furore è uno stato di grave e impetuoso risentimento provocato da una notizia travolgente e rivolto contro il responsabile: si manifesta nella singola persona, in un gruppo o addirittura in un popolo, con effetti talora devastanti quando si tratta di una violenza rabbiosa e incontrollata che giunge fino all’omicidio. Talora però il termine viene usato in un contesto completamente diverso, come segno di un’esaltazione e di una gioia incontenibile.
«Questi angioli, ristretti sotto la potente mano di Dio contro il quale non potevano sfogare il loro veleno, vedendosi privi di sì alta felicità rivolsero lo sdegno contro l’uomo […] e il principe delle tenebre congregò un consiglio di furore e di malizia. Laonde, pieni d’infernal furore, rivolsero l’odio contro il povero Adamo» (III 125). «Dio distruggerebbe le città e i regni per tanti peccati. Ma gli innamorati servi, che nella contemplazione stanno assistenti a Dio, vietano il furore della sua giustizia: ove, genuflessi, con devote preci, con occhi lacrimanti, pregano per il povero mondo» (II 246). Dio salvaguarda la sua chiesa dagli eretici: «A dispetto della loro rabbia, furore e odio che le portano, la esalterò sempre più» (III 176). Di fronte a fatti sconvolgenti, chi sa dominare le proprie passioni «si altererà nell’animo, nondimeno più temperatamente e con minor furore. E perché questo? Perché già le aveva tenute in freno e le aveva avvezzate a poco a poco a soffrire questi colpi» (II 416).