Come ogni martedì torna la rubrica dedicata alla figura di Tommaso da Olera, il frate cappuccino vissuto a cavallo tra Cinque e Seicento e proclamato Beato nel 2013. Il testo è tratto da “Tommaso da Olera, un anno con un mistico del Cuore di Gesù” di Sergio Calzone. Le riflessioni di oggi.
Il trasferimento verso Betlemme
E’ il passaggio verso l’Incarnazione.
Or torniamo a Maria, o anima devota, che camina alla volta di Betlehem con il santo sposo, e contempla quella santa purità caminare e alcune volte di stracchezza sentarsi; ascolta quegli ragionamenti che fanno insieme. Ragionava Maria tanto altamente delle cose di Dio che il santo e buon vechiarello tutto se infiammava de l’amor di Dio; e chi avesse veduto Gioseffo e Maria con il suo caro putino nel suo sacrato ventre!
Oh quanti disagi patì Maria come tenera virginella! Ma tutto pativa per amor de Dio, e questo fece il suo dolor tanto magiore che, patendo la Madre, pativa anche il figliolo. Oh con quanta mortificazione caminava! E aveva la santa Vergine un aspetto tanto venerando e maestoso che restavano attoniti chi la miravano: rendeva tanta devozione chi la guardava che mai cadevano pensieri ad alcuno si non santi e onesti, e quando parlava diceva parole divine. (Selva, 149-150)
Come ultima notazione, val la pena chiarire che non vi è contraddizione tra la «mortificazione» con cui la Vergine cammina e il suo aspetto «tanto venerando e maestoso» che, al di là del probabile calco dantesco, ritrae la madre di Dio in tutta la sua sacralità. Non vi è contraddizione poiché la fatica e il dolore di quel viaggio disagiato non sono che la metafora dello sforzo di una creatura, alla fine, umana, per giungere a quella pienezza di identificazione nel suo ruolo di [«gloriosa Madre de Dio, regina di angeli, figliola de l’eterno Padre, sposa dello Spirito Santo» (Selva, 245)] e, dunque, farsi perfetto tabernacolo (direbbe Fra Tommaso) del sole che, a breve, illuminerà il mondo.
Il primato di Roma e la «riconquista» del Tirolo
Complessivamente, da tutto quanto emerso fin qui, Fra Tommaso appare, da una parte, uomo di straordinaria spiritualità e fede, e, dall’altra, capace di bonaria abilità nel proporre metafore che anche spiriti non eletti potessero comprendere e, attraverso quelle, innalzarsi.
Tuttavia, pur seminato qua e là, senza che appaia un piano preciso, ma con estrema chiarezza di veduta, il Beato è anche un fierissimo difensore del primato di Roma e un sottile oppositore alle eresie che, poco prima di lui, avevano scosso il corpo della Chiesa.
Nato nell’anno stesso in cui terminava il Concilio di Trento (1563), con le dure condanne alle tesi di Lutero, trascorse gli ultimi tredici anni della sua vita a Innsbruck, certamente amareggiato dall’infuriare di quella che gli storici chiamarono, poi, la Guerra dei Trent’anni. Allo stesso tempo, però, il pontificato di Sisto V aveva da tempo attenuato lo spirito un poco belluino con cui la Chiesa di Roma si era, in un primo tempo, opposta a Lutero, e l’enorme espansione dei Cappuccini nella prima metà del Seicento era la testimonianza di un rinnovato spirito di missione, di rievangelizzazione delle masse (ma anche dei prìncipi), attenuando, se non eliminando, la repressione anche fisica dell’eresia.
Con un pugno di altri predicatori, egli recuperò alla ortodossia cattolica il Tirolo che si era, in un primo tempo, dato al luteranesimo come altre terre relativamente ricche e, per ciò stesso, non insensibili alle tasse, specie se convogliate, poi, verso la «Babilonia romana».
Bruder von Tirol, «Fratello del Tirolo»: era l’appellativo forse più utilizzato per indicare Fra Tommaso da Olera, per lo meno in quella valle dell’Inn che egli ha instancabilmente percorso nei due sensi, passando da case umilissime a palazzi patrizi. Non a caso il suo ritratto compare a Volders, nella chiesa di san Carlo Borromeo, a sua volta instancabile combattente contro le eresie protestanti e calvinista.
Contro le eresie, i testi di Fra Tommaso non hanno esitazioni
Iddio si risalvò manifestarsi al mondo e alla sua chiesa a’ tempi oportuni a Sua Divina Maiestà, sì come a’ tempi passati rivelando a santi uomini e sante donne le cose che dovevano avenire, determinando nelli divini concili, opponendosi a’ eretici, fulminando e scommunicandoli. (Selva, 188)
Vedevo però anco innumerabili fiori bastardi e semplici che dovevano rendere alle mie nari odori stomacosi di vizio e peccato, quali con mali essempi dovevano sradicare, strapiantare li miei arbori, li miei fiori da me piantati in terreno fertile; e vedevo che con mala vita, con falsa dottrina dovevano far ogni male. Io mi ramaricavo, mi dolevo in vedere la perdita di tante anime che io dovevo redimere con il mio preziosissimo sangue, e vedevo che tanti infedeli imperatori, prencipi, reggi, popoli eretici, tutti dovevano far crudel guerra alli miei operari nel mio giardino; e vedevo la perdita dell’anime di questi eretici e la crudeltà che dovevano usare contra il mio giardino, con morte attroce delli miei operari, quali per mio amore dovevano essere martirizati con eterna corona nel mio celeste giardino, strapiantando questi fruttari, fiori, dal giardino terreno al celeste ed eterno: e questo lo dovevo fare per mezo de’ miei nemici per gloria mia e corona. (Scala, 317).
Non ha esitazione ad affrontare anche uno dei maggiori punti di discordia tra Cattolicesimo e Protestantesimo, e la sua posizione è assai netta.
Avendoli per ciò (volendo l’uomo adoperarlo) dato Iddio un lume naturale e anco spirituale per poter seguire la luce di vita, avendo Dio dato all’uomo libera volontà di seguire la luce e le tenebre, la luce mediante il suo divin aiuto, le tenebre da se stesso, nelle quali da se stesso si può precipitare: perché, dopo che l’uomo è caduto nel peccato originale, è sempre inclinato al male. «E chi vorrà seguire il bene gl’è necessaria la mia grazia, e, corrispondendo alle mie celesti inspirazioni, può rinovarsi nel mio amore, e di uomo ottenebrato può transformarsi in gran luce e mia amicizia. E acciò siano luce sto ad ostium, et pulso [Sto alla porta e busso (Ap 3,20)], e chi mi aprirà, entrarò e con essi cenarò [cfr Ap 3,20], dandoli l’osculo di pace e d’amore, di luce; ed essendo ripieni di luce, saranno lucerne a’ prossimi loro, avendo io detto vos estis lux mundi [voi siete la luce del mondo (Mt 5,14)]; e con questa luce di carità, amore, seguitano me, suo creatore, e per mio amore ridondano con essempi di perfezione nei prossimi loro. (Scala, 295)
Contro la dottrina luterana della consustanziazione, poi, Fra Tommaso non soltanto sostiene evidentemente quella della transustanziazione, ma riesce a evitare ogni asprezza nel ribadire ciò che è, per lui e per la Chiesa, il retto sentire.
O anima devota, vedi ora con che carità comunicò Cristo li suo’ apostoli e che parole gli diceva. Odi, o anima devota, dargli l’instessa autorità che aveva l’instesso Dio di transformare un puoco di pane nel suo santissimo corpo. E non solo diede questa autorità a’ suoi apostoli, ma a tutti li sacerdoti legitimamente consecrati d’autorità pontificia romana, vicariato di Cristo. O felice e beato pane, poiché in un picciol communichino si trova il vero Iddio fatto uomo! Ivi si trova, dapoi dette quelle parole della consecrazione, il vero agnello Cristo mangiato dalli apostoli e tutti li fideli. O felici e beati chi gustarà questo pane celeste! Qual magior refezione poteva darci Iddio quanto è a darsi se instesso sotto specie di pane e vino, sì che li angeli possono invidiar l’uomo di un tanto privilegio! E si li angeli vedono e godono la essenza de Dio in cielo, l’uomo gode in terra questo sacro e divino sacramento, il qualle è quell’instesso Dio sotto specie di pane, e possiamo noi riceverlo anche ogni giorno. (Selva, 210)
E anche questo.
Molti sono li tesori della chiesa, ma questo pane è il magiore de quanti Iddio avesse. O felice chiesa romana, poiché hai un tesoro che mai venirà meno, poiché potrai cibar il tuo popolo che si mantenirà forte per combattere contra li suoi inimici, perché hai un pane tanto e tale che durarà sino che durarà il mondo. E questo cibo non vien dalla terra, ma dal cielo. E tanti granari averai quanti sono li sacerdoti nella cristianità, li qualli sacerdoti ogni giorno impiranno il granaro de l’ognipotente Iddio; e questi faranno descendere dal cielo questo celeste pane e lo dispensaranno a’ fideli soldati, che con forza possino resistere alli inimici suoi nel mondo, diavolo e carne. (Selva, 212)
Frasi piene di quella letizia cappuccina che quasi mai abbandona il nostro Beato e che, tuttavia, non trascura di ribadire «E non solo diede questa autorità a’ suoi apostoli, ma a tutti li sacerdoti legitimamente consecrati d’autorità pontificia romana, vicariato di Cristo» (Selva, 210), come a sottolineare la perfetta continuità di Roma nell’azione di Pietro e contro gli infiniti libelli ingiuriosi nella fase più arroventata della polemica anti-papale.