Come ogni martedì torna la rubrica dedicata alla figura di Tommaso da Olera, il frate cappuccino vissuto a cavallo tra Cinquecento e Seicento e proclamato Beato nel 2013. Il testo è tratto da “Tommaso da Olera, saggezza umana e sapienza divina” a cura di Clemente Fillarini, Messaggero di Sant’Antonio Editrice.
La riflessione di oggi
Per meglio orare, devi cercare luoghi a proposito, come sono le celle, le chiese, i monti, i colli, le valli, le grotte, i deserti, i luoghi ombrosi, e simili (II 406).
La cella è una piccola stanza, disadorna: in essa ci immaginiamo forzatamente rinchiusi i carcerati, oppure volontariamente gli eremiti e i monaci. Essa dà l’idea di distacco dal mondo, del rientrare in se stessi per riflettere; ma in questo senso, forse, oggi non se ne fa tanto uso; infatti si preferiscono (specie i giovani) assembramenti, movide, confusione. Il beato Tommaso ci istruisce ben diversamente.
«Le notti, le solitudini, i deserti, gli oratori, le celle […], in qualsivoglia parte del giorno questi luoghi sono per contemplare Iddio, per amare Iddio, per gustar con Dio e per parlar con Dio» (II 397). «Le città erano piene di monasteri; sino negli aspri deserti i santi padri edificavano monasteri di uomini e donne, e sino le caverne, grotte furono abitate da santi religiosi. E di più ancor sugli alberi, come si legge, facevano celle, ove facevano vita più angelica che umana, cibandosi di cose selvatiche» (II 549-550). Infine, l’anima che vorrà «gustare l’amore [di Dio], avrà in orrore la via del vizio e peccato, e sarà introdotta dal celeste canevaro nella cella vinaria dell’amor suo, ove potrà imbriacarsi senza peccato, anzi con gran merito» (III 229-230).
«Andando l’angelico dottore san Tomaso d’Aquino a visitarlo [san Bonaventura, nella sua cella], gli domandò tra l’altre cose particolarmente che gli mostrasse la sua libraria; e pensando di vedere una bellissima e amplissima copia di libri, lo menò san Bonaventura nella sua cella e mostrogli il crucifisso, dicendo a san Tomaso: “Padre mio, questa è la mia libraria, della quale io imparo la vera sapienza; e tutti i santi e gran letterati hanno imparato a questa scola”» (II 188).