Come ogni martedì torna la rubrica dedicata alla figura di Tommaso da Olera, il frate cappuccino vissuto a cavallo tra Cinquecento e Seicento e proclamato Beato nel 2013. Il testo è tratto da “Tommaso da Olera, saggezza umana e sapienza divina” a cura di Clemente Fillarini, Messaggero di Sant’Antonio Editrice.
La riflessione di oggi
Non andò il nostro Dio a rompicollo con i suoi apostoli, ma con amorevolezza e affabilità trattava con i suoi cari discepoli. Oh quanto dovrebbero i prelati imparare dal celeste Maestro la mitezza, la tolleranza, la pazienza e l’umiltà! (I 265).
Il riferimento è a Gesù risorto: egli non rimprovera agli apostoli il loro tradimento, né li castiga, ma appare loro, afflitti e timorosi com’erano in quel momento, mostrando di non essere offeso, anzi augurando loro “pace” e serenità nell’animo provato dalla vergogna e dal rimorso d’averlo abbandonato. Questo atteggiamento non è facilmente riscontrabile nelle nostre famiglie e nella società, perché richiede un superamento del nostro orgoglio quando veniamo offesi, ed esige umiltà e affabilità verso chi ha sbagliato.
«Poteva il Signor apparire ai suoi apostoli formidabile e irato […]. Nondimeno appare pacifico, né mai ricorda le offese. Oh che bellissimi documenti [esempi] per trattar con i sudditi, con la mansuetudine e non con sdegno e ira! Imparate, o re, o principi, o giudici, o prelati, imparate dal re della gloria a governar le anime redente col sangue prezioso di Gesù Cristo. Oh quante povere anime si dannano per troppa severità!» (I 428-429).
«Ha lui [Gesù] parole tanto soavi e dolci che chi lo sentiva gli restava perpetuamente obbligati; ed è tanto affabile che tutto il mondo gli corre dietro» (I 196). «Dovevansi i santi apostoli rallegrarsi vedendo che il loro maestro fosse tanto onorato, e pensavano forse che allora il popolo lo dovessero far il re dei Giudei, come altre volte avevano voluto fare. E forse intra di sé pensavano che ancora essi sariano stati grandi; ove ognuno si avrà mostrato affabile al Signore un a regata [a gara] dell’altro, accarezzando il Signore, facendosi vedere, credendosi di aver da essere esaltati a dignità e grandezze» (I 201).
«L’umiltà è adorna dei più begli epiteti che a virtù alcuna si possano adattare. Ella è vergognosa, rispettosa, modesta, riverente, affabile, temperata, forte, prudente, solitaria, paziente, mansueta, pietosa, caritatevole, amica e famigliare di Dio, di Maria, dei santi, infin degli uomini» (II 400). Il contemplativo «qualche volta sarà allegro con faccia gioconda, e parlando le sue parole penetreranno i cuori degli ascoltanti. Sarà temperato nel magnare, nel bevere, nel vestire, e in tutte le cose sarà composto e affabile» (II 471).