Come ogni martedì torna la rubrica dedicata alla figura di Tommaso da Olera, il frate cappuccino vissuto a cavallo tra Cinquecento e Seicento e proclamato Beato nel 2013. Il testo è tratto da “Tommaso da Olera, saggezza umana e sapienza divina” a cura di Clemente Fillarini, Messaggero di Sant’Antonio Editrice.
La riflessione di oggi
Essendo caduto il nostro primo padre, restammo ancora noi feriti e macchiati di questo veleno, e nessuno si può gloriare di esser libero da questo peccato originale, perché questa è l’eredità dei figliuoli d’Adamo (I 328).
Quante discussioni, offese, odio e divisioni fra stretti parenti per avere una parte di eredità; non solo, ma ricorsi nei tribunali – a beneficio talora dei soli avvocati –, o addirittura, nel peggiore dei casi, si arriva all’omicidio: in questo caso l’autore se ne rende insegno e, se viene scoperto, non ne ha diritto. Fra Tommaso parla però di ben altro, cioè della nostra vera, eterna eredità, il paradiso, e di come comportarci per meritarla.
«Noi come veri figliuoli d’Adamo abbiamo per eredità passioni, dolori, affanni, angustie, odio, rancore, amor proprio, vizio e peccato, con tante calamità, e il raccontarle tutte sarebbe cosa troppo lunga. Questa eredità ci inclina sempre al male, ma non ci può forzare a commetterlo» (II 463), e «tante anime così care a Dio si dovevano dannare per sua colpa e privarsi dell’eredità del cielo» (I 189). Per gli amanti di Dio «l’eredità è il retto amore, non servile, ma filiale» (II 518), che sfocia «nell’eredità paterna di Dio» (II 330). Gli eretici, invece, «non per colpa di Dio, né di santa chiesa, ma per colpa loro se ne stanno privi dell’eredità paterna, perseverando nella loro ostinazione, carne e sensualità, vivendo a briglia sciolta» (III 120).