L’idea pagana di Dio
Gesù il Signore o il Sig. Gesù?
Noi siamo troppo abituati a dire “Signore Gesù”, ma proviamo a chiederci: lo dico nel senso di “Gesù è il Signore”, cioè il mio Dio, l’energia, la luce, il calore che mi accompagna nella vita, o lo dico nel senso di “il sig. Gesù”, cioè un VIP potente che se vuole può darmi quello che mi serve, per cui se me lo blandisco un po’, magari qualcosa mi arriva. Se poi cerco di farmi raccomandare da qualcuno dei suoi amici – i santi – o dei suoi collaboratori – i preti –, chissà che la mia domanda non passi avanti a tante altre. Chi mi interessa davvero: Gesù il Signore o il Sig. Gesù? Troppo spesso diciamo con facilità: “Gesù, il Signore”, invece se ci guardiamo dentro con schiettezza egli non è altro che “il Sig. Gesù”. È la differenza tra un grande personaggio e un vero amico, cioè tra il “personaggio famoso” che viene studiato con la mente e la “persona importante” che viene riconosciuta dal cuore. Se è solo un personaggio famoso, cosa andiamo a fare in chiesa? Ma se ci siamo, forse, è perché nonostante tutto, sentiamo qualcosa e lui per noi è importante.
La ricerca del volto di Dio
Tante persone lungo la storia si sono messe alla ricerca del volto di Dio. Simpatica è la storia antica di Epifanio. Era un monaco che viveva nell’antichità in Oriente. Sapeva dipingere bellissime icone e continuava a lavorare per riuscire a disegnare il volto di Cristo. Non aveva pace perché non trovava un modello adatto che esprimesse insieme gioia e sofferenza, morte e risurrezione, divinità e umanità. Allora si mise in viaggio scrutando ogni volto. Nulla: nessun viso era adatto e aveva abbastanza luce. Stanco si addormentò e fece un sogno. Gli apparve un angelo che lo riportò alle persone incontrate e che per ognuna gli indicò un particolare: la gioia di un innamorato, l’innocenza di un bambino, la forza di un contadino, la sofferenza di un malato, la paura di un condannato, la tenerezza di una madre, lo sgomento di un orfano, la speranza di un giovane, l’allegria di un giullare, il raccoglimento di un sacerdote. Quando mostrò l’icona tutti restarono attoniti. Gli chiesero dove avesse trovato il modello e disse: “Non trovi il Cristo nel volto di un solo uomo, ma trovi in ogni uomo un frammento del volto di Cristo”.
Un sommelier astemio
“È meglio essere cristiani senza dirlo, che dirlo senza esserlo”, diceva il martire Sant’Ignazio di Antiochia. Credere in Dio non è un bell’atto sentimentale chiuso in se stesso. Mi chiedo spesso come sia possibile essere “credenti non praticanti”. Come è possibile credere nel Dio di Gesù Cristo – e non in quello più approssimativo che ho nella mia testa – e non desiderare di conoscerlo sempre di più e sentire il bisogno di incontrarlo. Sarebbe come vantarsi di essere un sommelier astemio o come descrivere il legame con una persona attraverso questa frase: “Sono innamorato, ma non praticante”. I commenti si sprecherebbero. La fede, come l’amore, è come la tosse: non si può nascondere. Se c’è, si sente e si manifesta.
Praticanti ma non credenti
Peggio però si può essere “praticanti ma non credenti”. Corriamo il rischio di vivere a compartimenti stagni: tiriamo fuori Dio due minuti al giorno o un’ora a settimana. Magari. Finita la Messa, la vita ci aspetta fuori e Dio sta bene chiuso nel tabernacolo. Ho paura quando in chiesa celebriamo il Dio della vita e fuori compiamo gesti di morte. Ho paura quando cantiamo in chiesa l’amore che ci ha riuniti e fuori stoniamo con il nostro egoismo. Ho paura quando dico all’altare che siamo tutti fratelli e poi fuori dalla chiesa molti nemmeno si salutano.
Sapere di più
Nel cammino di quest’anno cercheremo di SAPERE di più. Se cerco sul vocabolario latino “sapere” trovo due termini scritti uguali ma di significato diverso, distinti solo da un accento. “Sapère” ha il significato comune all’italiano: conoscere, comprendere, imparare, scoprire: è cosa di cervello, inerente solo alla mente. “Sàpere”, invece, con l’accento arretrato, significa gustare, assaporare, da cui deriva il termine “sapore”. Qualche studioso fa derivare la parola “sapienza” proprio da “sàpere”, gustare, più che da “sapère” e l’idea mi piace. Dobbiamo far fare un salto di qualità alla nostra fede. Come? Possiamo cominciare semplicemente a spostare un accento: non ci serve tanto “sapère” qualcosa di più su Gesù, quanto invece “sàpere”, poterlo gustare di più. È la stessa differenza che c’è tra “educare” e “informare”. Sta a noi decidere tra il fermarci al “sapère” chi è il famoso “Gesù della storia” o andare oltre per “sàpere-gustare” la scommessa che ci affida il “Cristo della fede” dove c’è comunque abbastanza luce per chi vuol vedere e sufficiente buio per chi non vuol vedere. Chiediamoci: chi è per me? Gesù è il Signore o è il sig. Gesù?