Il commento al Vangelo di Natale di Don Giulio Dellavite. Domenica 25 dicembre.
Dal Vangelo secondo Luca
In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Anche Giuseppe, dalla Galilea, da Nàzaret, salì in Giudea alla città del re Davide chiamata Betlemme: egli infatti era di discendenza regale. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio. C’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo si presentò e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse: «Non temete: vi annuncio una grande gioia: oggi è nato per voi un salvatore, il Cristo Signore. Questo il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». E subito apparve una moltitudine di angeli che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».
Parola del Signore.
Il commento al Vangelo di Natale
“Sono nato debole, dice Dio, perché tu non abbia mai paura. Sono nato nudo, perché tu possa spogliarti delle tue maschere. Sono nato al freddo, perché tu impari a star bene ovunque. Sono nato povero, perché tu non abbia mai a vergognarti di te. Sono nato in una stalla, perché tu smetta di essere complicato. Io sono nato uomo perché tu possa essere Dio” (Jean P. Sartre). Dio si abbassa perché io possa alzare il mio livello. Dio si fa piccolo perché io possa accorgermi di essere grande. Dio si mette in terra perché io possa inciamparmi nel cielo. E a me? E quindi?
L’albero di Natale
La risposta ce la suggerisce l’albero di Natale. Spesso si pensa che sia un simbolo laico. Non è così. Il Presepe nasce con San Francesco d’Assisi a Greccio (1231) ma l’albero c’era prima come custode del mistero. Fin dall’antico Egitto l’abete, verde e rigoglioso quando le altre piante sono spoglie, era simbolo di resistenza e perciò veniva legato a diverse divinità della fecondità. I primi cristiani presero questa densa richiesta di speranza ritrovando la vita nuova tanto attesa nella nascita di Gesù, che iniziava una creazione nuova e una umanità rinnovata. Un’antica leggenda identificava l’abete con l’albero della vita al centro del paradiso terrestre in Genesi, narrando che le foglie diventarono aghi appuntiti, senza più fare frutti, quando Adamo ed Eva colsero il frutto del bene e del male, convinti di fare a meno di Dio. Ma da qui ogni cosa si sciupò.
Gesù ribalta tutto
Gesù ribalta tutto: Dio non può fare a meno dell’uomo. E così tutto può ricominciare da capo. Il frutto della discordia che la tradizione raffigura nella mela, che causa vergogna e accusa, diventa pallina rossa che unisce. I rami sterili tornano a germogliare nei colori degli addobbi. Gli aghi che fanno male si fanno dolci golosi da cogliere. Il serpente tentatore viene disinnescato in una striscia sinuosa, oro e argento perché il male può diventare lezione preziosa. Il cielo chiuso minaccioso, si apre ai sogni attaccati alla stella. La terra arida è vinta dai regali che meravigliano infiocchettati: ogni premura è scintilla di Dio, è un astro appoggiato in terra. La quotidianità ci rende pungenti, duri, nodosi, come l’abete. La quotidianità è avvelenata da mele stregate che sono rimorsi, rimpianti, risentimenti, rivendicazioni, rimproveri (comunque c’è sempre chi rompe le palline e rovina tutto). La quotidianità è abitata da serpenti viscidi che stritolano con gelosia, invidia, ira, rancore, prepotenza, frustrazione. La quotidianità ci schiaccia con tanti pesi che chiudono il cielo che sembra non accogliere più invocazioni o imprecazioni. La quotidianità rende dure le zolle dell’orizzonte con la paura.
Un dio che si fa bambino
Un Dio che si fa bambino ribalta tutto, cambia la prospettiva, fa guardare anche le cose più scontate in modo diverso. Un Dio che si fa bambino fa cogliere “nuove” opportunità. Non è solo riuscire a vedere quelle che già ci sono, è di più: è rendersi conto che vali e puoi generare un tuo mondo nuovo. Un Dio che si fa bambino non ha parole, soluzioni, progetti. Nella consapevolezza di avere bisogno degli altri, insegna a godersi ogni istante, accorgendosi della forza della tenerezza. Un Dio che si fa bambino non sa fare niente, sa solo sorridere, ma fa capire che Dio crede in me più di quanto io creda in lui.