Il commento al Vangelo di oggi, domenica 24 dicembre, di Don Giulio Dellavite.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te». A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.
Il commento al Vangelo
Il tempo di Avvento ci pone “in dolce attesa” del Natale, aiutandoci a percepirci “gravidi di Dio”, a scoprirci “incinta” fin nel nucleo più profondo (“in-cytos”, nel citoplasma). Ci spinge a cogliere che la realtà è “in stato interessante” perché “pregnance” (inglese) impregnata e lievitante di grazia. Questo ci pone “in der hoffnung – in speranza” (dal tedesco) per vivere la fatica come travaglio, il dolore come doglie, il buio come utero, fino a scalciare per “venire alla luce”.
Il Natale
Il Natale è arrivato tanto di corsa da trovarci nei panni degli albergatori di Betlemme troppo indaffarati. C’è chi sta soffrendo, chi non sente per nulla il Natale, gli dà fastidio e ce l’ha con Dio, come Re Erode. C’è anche chi, come i pastori, si sente un nulla e si vede ai margini, ignorato, e non si aspetta nulla da nessuno. E c’è chi lo vive da apatico, come l’asino o il bue, per i quali basta respirare per fare in qualche modo Natale. C’è chi è in ricerca, come i Magi, e rincorre ideali luminosi o solo luccichii artificiali per colmare vuoti con emozioni. Qualcuno magari si trova in sintonia con Giuseppe col cervello che fa a pugni col cuore, dove alla fine vince la premura spiccia che trasforma la piatta realtà in presepe. Fortunato chi sente il suo cuore come quello di Maria, gravido di Dio, lievitante di speranza, impregnato di grazia, perché è innamorato o perché sta costruendo la sua vita, sta vivendo esperienze inattese, sta progettando traguardi. Tutti comunque, in questa vigilia, siamo “in gestazione”, parola che significa “farsi portare” per venire alla luce. È quello che fa Gesù e che farà appena nato: non dice nulla, non fa nulla, semplicemente alza le mani. Ed è l’ultimo gesto della liturgia su cui pongo l’attenzione. Alzare le braccia è il gesto di arrendersi e mostrarsi disarmati. È dire “mi metto nelle tue mani, mi fido e mi affido”. Le braccia conserte sono una sorta di armatura, per sospetto e autodifesa. Le mani in alto lasciano il cuore libero, aperto, senza coperture o maschere, anche se sguarnito e indifeso. Alzare le braccia è anche il gesto del cercare l’equilibrio. A volte capita su bus, metro, treno di essere sballottati dalle curve della strada e dalla buzzurraggine delle persone. L’unico modo per non cadere è aggrapparsi a qualcosa in alto. Abbiamo bisogno di ganci in mezzo al cielo che facciano tenere ben piantati i piedi per terra. Alzare le braccia oggi è il gesto col cellulare se non c’è campo. Interessante che spontaneamente viene da cercare in alto la connessione che manca. Così nel bisogno si alza lo sguardo. Alzare le braccia in fine è il gesto del farsi prendere in braccio. Un neonato non deve dimostrare niente a nessuno, non ha ansia da prestazione o smanie per piacere a tutti. Non ha né passato né futuro che lo blocca, ha solo il presente che è quel collo o quel seno a cui aggrapparsi. Se è vero che Dio si fa uomo perché noi possiamo essere Dio, non c’è altro da dire che “mani in alto!” per disarmarci, trovare equilibrio o connessione e farci prendere in braccio. Natale non sarà più una data ma uno stile e durerà tutto l’anno.