La preghiera liturgica
Accanto alla preghiera “di” Gesù (l’Eucaristia, cioè la Messa), c’è la preghiera della Chiesa che si esprime in modo peculiare nella Liturgia delle Ore. Queste due dimensioni diventano scuola e palestra per la preghiera personale (che vedremo nei prossimi incontri).
La liturgia delle ore
La “Liturgia delle ore” si chiama così perché scandisce la giornata: le lodi al mattino, l’ora media un momento durante il corso la giornata da scegliere tra tre proposte (che vengono nominate con il nome romano della scansione del tempo che misurava le ore a partire dall’alba: ora terza – le 9, ora sesta – mezzogiorno, ora nona – le tre), poi i vespri e la compieta che appunto “completa” la giornata prima del sonno. C’è poi l’ufficio delle letture che è il momento più impegnativo, che non è identificato con un orario preciso, ma sul tema della meditazione, su cui entreremo la prossima settimana. Lo schema di lodi e vespri è lo stesso: un inno di introduzione, due salmi dell’antico testamento, un cantico dal nuovo testamento, una lettura breve, l’inno evangelico (il “benedetto” al mattino che invoca Gesù come sole che sorge, il “magnificat” con cui facendosi aiutare dalle parole di Maria si rende lode a Dio per quanto ha operato in noi durante la giornata). Ci sono poi le invocazioni al mattino (di affidamento) e le intercessioni alla sera (di richiesta) che si compiono e riassumono nella preghiera del Padre Nostro che Gesù ci ha insegnato. Si conclude con l’orazione ecclesiale e con la benedizione, che in assenza del prete, in questo caso, ciascuno può dare su di sé perché sta pregando la stessa preghiera di tutta la Chiesa e con tutta la Chiesa: “Il Signore ci benedica, ci preservi da ogni male e ci conduca alla vita eterna”. Interessante che si entra in preghiera da singoli (O Dio vieni a salvarmi) e si esce insieme (Il Signore “ci” benedica). Per l’ora media lo schema si semplifica: tre salmi e poi solo lettura e orazione. La compieta recupera l’inno evangelico con le preghiera di Simeone “ora lascia, Signore, che il tuo servo vada in pace”, ma c’è sostanzialmente un solo salmo.
Quattro settimane
Questo schema giornaliero si articola poi in una scansione di quattro settimane, durante le quali vengono pregati i 150 salmi della Sacra Scrittura. Ci sono alcune variazioni nei cosiddetti tre “tempi forti” (Avvento, Quaresima e di Pasqua – che spesso viene dimenticato e trascurato rispetto agli altri due), così come per il ricordo particolare di alcune solennità (ad esempio l’Immacolata o l’Assunzione di Maria, la Trinità, il Corpus Domini, il Sacro Cuore, ecc) e la memoria dei Santi (a tre livelli: festa, memoria obbligatoria o memoria facoltativa). Un dettaglio per capirne l’importanza: per un sacerdote è peccato non essere fedele alla liturgia delle ore e non lo è se invece in un giorno feriale non dice la Messa.
Le dimensioni che ci insegna la “Liturgia delle ore” sono:
Universalità – tu sai che stai entrando nella stessa preghiera fatta in tutto il mondo (spazio).
Continuità – non c’è istante della giornata che non sia dentro questa preghiera (tempo).
Umiltà – ti immergi in un flusso di grazia che va oltre i tuoi meriti e le tue fragilità.
Unità – insegna il principio della coralità (che serve in ogni liturgia o azione comunitaria). Tanto è che la liturgia delle ore è nata nei monasteri come canto. Si dice infatti che si prega “a cori alterni”, i salmi sono introdotti da una “antifona” che introduce il senso come se fosse una melodia, si apre con l’inno, cioè con un canto di lode e si chiude con il cantico evangelico.
Canzonetta e melodia
Proviamo a pensare alla differenza tra una canzonetta e una melodia. La canzonetta si esegue in un gruppetto o si fischia da soli, una melodia richiede di amalgamare coro e orchestra cercando l’equilibrio dell’armonia. Se qualcuno va da sé col ritmo, o pone una nota al posto sbagliato, o mette al posto sbagliato le sillabe del testo, inquina la magia dell’insieme. L’errore non è nulla in sé, ma la conseguenza è pesante. Nelle canzonette invece, al contrario, chi più urla e prevale, più sembra bravo e da applaudire come il tenore da osteria. Ci consegna la prima grande responsabilità: ascoltare. Ascoltare innanzi tutto noi stessi, cioè pensare e capire quello che sto leggendo: 1) Cosa vuol dire? 2) Cosa sta dicendo a me? In italiano ci sono tre verbi: udire, ascoltare, sentire. Udire è quando qualcosa ti entra in un orecchio e ti esce dall’altra. Passa e tu sei impermeabile: udire un rumore, un suono, una voce che percepisci ma che scivola via. Ascoltare invece è quando una parola entra nelle orecchie e si ferma nel cervello, viene registrata, percepita, analizzata, memorizzata e su questa ci si fa delle domande: perché? come? come mai? quanto? quando? e io? e lui? Quindi resta dentro. Ci rendiamo conto che nelle nostre Messe non c’è nemmeno l’udire? Vi consiglio una volta di mettervi in fondo alla chiesa ad una Messa, da esterni, a osservare e udire. Forse poi capite perché un giovane o un lontano se si affaccia poi scappa: diciamo di proporre il gioiello più prezioso e lo trattiamo come paccottiglia. Basta pensare al cattivo uso dei foglietti o dei libretti delle letture. Servono per prepararsi “prima” della Messa o per ripensare alle letture “dopo” la Messa. Non “durante”!!! Se aiutano a non distrarsi da ciò che il lettore annuncia, sono tollerabili, ma la dimostrazione che non sappiamo udire è che si leggono “sopra” colui che a nome della comunità offre la parola di Dio (Leggo io per me! È il principio del dire, recitare formule, sbattere dentiere, ma non è preghiera liturgica. Non è preghiera personale “vicino” ad altri, è entrare in una grazia che non è mia, a cui sono invitato).
Gli orchestrali
È la differenza tra convinzione e convenzione. Scatta allora la dimensione del sentire: la parola non si ferma solo al cervello ma scende al cuore (da qui viene sentimento). Entra nella vita, “il Verbo si fa carne” (diciamo di Gesù). Mi interpella e chiede spazio in me. È il principio dell’orchestra: ogni strumento è di forma diversa, di materiale diverso, di grandezza diversa, di suono diverso. Come ciascuno di noi. Ognuno ha un suo posto, preciso. Ogni suonatore deve dare il meglio, senza sovrastare gli altri, senza pressapochismo. C’è uno spartito da seguire con umiltà e obbedienza, ognuno lo suona in modo diverso sempre (anche in base a come sta), ma senza inventarlo come “se la sente” (quanta devozione è solo farsi vedere). Così nella comunità ognuno è chiamato a interpretare a modo suo quello che vive la comunità, che non è fare quello che si vuole. Essenziale è l’attenzione al ritmo, al tempo, allo stile, ma soprattutto all’altro e all’insieme. C’è poi uno che deve dirigere, l’unico che deve avere il coraggio di girare le spalle alla gente. È colui che deve dare il ritmo, deve capire il momento, deve suggerire chi va fatto sentire di più e chi meno, chi va invitato a muoversi e chi a rallentare. È il custode e il garante della sintonia. Ogni mediocrità è un tradimento, ogni stonatura o dissintonia è inquinare la sinfonia. Cosa direste se a teatro un orchestrale si muovesse come vuole sul palco o suonasse note quando e come gli pare? Lo fischiereste. Se nelle nostre Liturgie ci va bene tutto vuol dire che non le stiamo “sentendo”, vuol dire quindi che non ci crediamo. Anche perché nella Chiesa noi non siamo spettatori ma orchestrali.