La notizia era nell’aria: si direbbe che anche nell’aria ci fosse uno stato di massima allerta. Il Cristo di Betlemme, dopo un tirocinio durato trent’anni dentro l’anonimato di Nazareth, in tre anni di predicazione con parole e gesti s’era fatto l’Uomo di Gerusalemme. Da giovane aveva imparato a lavorare il legno grezzo levigandolo con la pialla: da grande s’impegnò a lavorare i cuori di pietra perchè diventassero di carne e mai di burro.
Al posto della pialla, per i cuori si avvalse dell’arnese dello sguardo: ne bastava uno, uno dei suoi sguardi, per sciogliere comizi di detrattori, incendiare assemblee di malfattori. Guarnito di carezze e di sguardi, fece capire la differenza tra l’occhio e lo sguardo: l’occhio è materia del corpo, ma lo sguardo è una questione di luce. Gli occhi appartengono al corpo, lo sguardo all’anima: “Come mi guardò lui, nessun mi aveva mai guardato prima d’allora” disse più di qualche anima pizzicata sull’orlo della dannazione.
Sarà a motivo di quegli sguardi gettati ai margini, regalati ai crocicchi, disegnati lungo il viale dei cimiteri se un giorno l’appenderanno in croce? Lui, nel frattempo, resta sul pezzo, senza vergognarsi di chiedere ciò che non ha: «Andate nel villaggio di fronte; entrando, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è mai salito; scioglietelo e portatelo qui». In vita sua mai vantò la proprietà privata, ma tutto prese sempre a prestito: la barca per predicare la chiese in prestito al pescatore di Galilea, ad uno poco più che bambino chiese di dargli i cinque pani e i pesci da moltiplicare.
Fra poco chiederà in affitto una stanza per cenare con gli amici, un campagnolo gli affitterà le spalle per (sop)portare meglio la Croce, un altro gli farà trovare – senza che lo chieda – un sepolcro per soggiornare nelle mortali settantadue ore. Ad una donna, appena sbucato dal sepolcro come una volpe dalla tana, chiederà in prestito la sua voce per andare a portare luce nei cuori.
Nessun sovrano, nessun dittatore, nessun soverchiatore necessita di cose così futili come quelle di cui necessita Cristo. Lui le chiede perchè, facendosi un uomo come tutti, è un uomo bisognoso: non si vergogna d’esserlo. Se qualcuno chiederà, poi, come mai tutti gli danno tutto nel momento del bisogno, è tutto chiaro: «E se qualcuno vi chiederà: “Perchè lo sciogliete?”, direte: “Il Signore ne ha bisogno». E’ tutto suo, l’uomo l’ha ricevuto in prestito da Lui che, adesso, lo chiede in prestito a noi per allenarci, tutti assieme, alla gratuità: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mc 10,8). Dio che ha bisogno dell’uomo è una scena di quelle che mancavano a Pilato: abituato a vedere rientrare i Re calpestando il cadavere dell’avversario, vede quest’uomo – Re professo – cavalcare l’animale mascotte dei reietti.
Fosse entrato in pompa magna, qualche credito lo avrebbe ancora riscosso, ma così proprio no. Lui, da par suo, fece così perchè alla città non restassero che due alternative: confessarlo Re o crocifiggerlo da impostore. Tutto prenderà in affitto, come il nonno – ch’era mezzadro e non possidente – prendeva in affitto tutti gli attrezzi per la vendemmia: le forbici da vendemmia, le cassette di raccolta, il trattore, la cantina dove andare a riporre il raccolto. Solo una cosa mise di tasca sua Cristo: le sue lacrime. Lacrime di chioccia su pulcini ingrati: «Quando fu vicino, alla vista della città, pianse su di essa».
Iniziò la settimana della vendemmia con le lacrime agli occhi. Vedere tutto quel male e non poter rimediare per la malvagità umana resta la più profonda di tutte le angosce: il padre che vede il figliolo perdersi è un padre che perde pure lui, assieme al figliolo.
Cristo inizia la stagione della vendemmia piangendo: non si aspettava nulla di meglio dal peggio incontrato. Versa lacrime: è l’unico modo che conosce, l’Uomo maiuscolo, per dimostrare di quale amore è capace senza togliere all’uomo la libertà. Liberi d’ammazzarlo, se vorranno: in caso contrario starebbe andando in croce solo per gioco. Ma l’amore, per Lui, non è un gioco. (Sulla strada di Emmaus).