“Francesco è il nome della pace, così il nome mi è venuto dal cuore”. Queste sono state le parole di Jorge Mario Bergoglio quando ha raccontato il motivo della scelta di un nome così importante. La rivoluzione è cominciata da lì. Nessun pontefice, fino al 13 marzo del 2013, aveva avuto il coraggio di scegliere il nome del santo di Assisi, del poverello.
Papa Francesco voleva una Chiesa povera per i poveri. In dodici anni ha lasciato un segno indelebile. Anche per chi non lo ha voluto vedere. Il “Papa della gente” arrivava dal quartiere di Flores di Buenos Aires da una famiglia di origine piemontese appartenente alla piccola borghesia, primogenito di Mario Bergoglio e di Regina Maria Sivori.
È stato un “prete di strada”. Sempre. Anche quando era cardinale e vescovo in Argentina. Quello è rimasto. Molte sere durante il suo pontificato da Casa Santa Marta scendeva le scale e andava sotto il colonnato del Bernini a trovare gli homeless. Lì ha fatto mettere dei bagni e delle docce. Per alcuni quasi un sacrilegio. Ha comunicato in ogni forma. Ha rilasciato interviste che prima di lui erano impensabili. È andato in televisione, addirittura negli studi televisivi. Ha scritto prefazioni di libri. Ha comunicato il suo pensiero libero e rivoluzionario. Incidentalmente, ed è il più grande traguardo, professato da Papa. È andato ad un G7, primo Pontefice nella storia, a parlare direttamente con i grandi del mondo. Tutti gli hanno reso onore e saranno presenti al suo funerale.
Nel 2015, dieci anni fa, ha parlato di “Terza Guerra mondiale a pezzi”, prima dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Un visionario. Ha invocato la pace. Si è offerto di andare a Mosca a parlare con Putin per fermare la guerra.
Francesco non ha mai dimenticato di fare una telefonata al parroco di Gaza durante i bombardamenti di Israele. Tutti i giorni. Anche quando era in ospedale. Ha condannato con forza assoluta l’uomo che uccide l’uomo. Ha aperto una breccia nel capitolo migranti. Papa Francesco non solo è stato dalla loro parte, è stato quasi uno di loro. Ha detto che “non bisogna aver paura dei migranti perché anche Gesù era un migrante”. Non un dettaglio da poco.
Uno dei primi gesti «sorprendenti» del nuovo Papa: il Giovedì Santo del 2013, 15 giorni dopo la sua elezione, andò nel carcere minorile di Casal del Marmo per celebrare la Messa in Coena Domini e la lavanda dei piedi a dodici detenuti, tra cui due ragazze e due musulmani. È stato accanto agli ultimi come mai nessun Papa.
Ha cambiato il linguaggio della Chiesa, soprattutto quello dei Pontefici. Ha parlato come mai nessun altro. È arrivato a tutti. Anche ai non cattolici.
L’immagine di Francesco solo in Piazza San Pietro a pregare per la fine dell’epidemia del Covid è il ritratto iconico del suo pontificato. Ha chiesto di essere seppellito nella nuda terra all’interno della sua amata Basilica di Santa Maria Maggiore. Il Papa senza scarpe rosse ha finito la sua vita terrena dopo aver cambiato la Chiesa. “Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicare?”, disse una volta a 12mila metri d’altezza. Sul “chi sono io” si sarebbe potuto obiettare che era il Papa. In effetti proprio perché era il Papa, si sentiva un parroco. Il Parroco di tutti noi.
Nel 2015, nell’incontro con il presidente dell’Ecuador, Rafael Correa, tra protocollo e austerità del palazzo, si racconta che prese in giro i suoi connazionali argentini: “Tutti sono rimasti sorpresi dal fatto che abbia scelto di chiamarmi ‘Francesco’ perché, essendo argentino, pensavano che mi sarei chiamato Gesù II”.
Ecco a Papa Francesco non è mai mancata l’ironia. Ha sempre raccomandato “di non perdere mai il buonumore”. Nel giorno della sua morte, accanto al dolore e alla preghiera, è giusto seguire il suo consiglio. Ricordiamoci di mantenere un sorriso di gratitudine ricordando tutto ciò che ci ha lasciato.