Il Papa che i cardinali “sono andati a prendere quasi alla fine del mondo” il suo mondo lo ha portato subito dentro il Vaticano, a partire dalla sera del 13 marzo 2013, giorno della sua elezione. Il cattolicesimo giungeva a quel momento quasi sotto shock. Il predecessore Benedetto XVI, vivo e vegeto, aveva rinunciato alla carica. Il millenario rituale morte, funerale, Conclave, fumata bianca, elezione deficitava dei primi due elementi. Quello che si affacciava dal balcone su Piazza San Pietro, gremita di fedeli, era il primo Pontefice latinoamericano. Un gesuita di Flores, barrio di Buenos Aires, Argentina.
Il giorno dell’elezione
Recentemente Papa Francesco ha ricordato quel giorno. “Quando alla penultima, la prima del pomeriggio ha detto Bergoglio – quando era quasi chiaro che sarebbe finita male (sic), il cardinale Hummes è venuto dietro di me e mi ha detto: ‘Non aver paura, è stata opera dello Spirito Santo”. Un grande uomo, il cardinale Hummes. E quando fui eletto, avevo i due terzi, e le votazioni seguirono, Hummes si avvicinò e mi disse: ‘Non dimenticare i poveri’. Ed è da lì che è nato il nome Francesco”. Già la scelta del nome doveva essere un indizio. Dei 265 predecessori nessuno aveva mai osato chiamarsi Francesco. Troppo ingombrante il poverello di Assisi. Troppo imponente il suo segno nel cattolicesimo. Non è un caso che l’episodio più significativo della conversione del Francesco Santo trasudi poi nel Francesco Papa. Nel 1205 mentre stava pregando nella chiesa di San Damiano di Assisi, Francesco raccontò di aver sentito parlare il Crocifisso, che per tre volte gli disse: “Francesco, va’ e ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina”. L’identificazione francescana è la linea sulla quale ha camminato e cammina Bergoglio. “Vedere quel ragazzo di buona famiglia – ha ricordato il Papa – che, a 20 anni, lascia tutto, si spoglia persino davanti al padre, e inizia una vita di impressionante creatività è straordinario”. “La vita di Francesco è la vita di un rivoluzionario – ha detto ancora il Pontefice – che ha il coraggio di ribaltare completamente le carte in tavola, di un incosciente che va dal califfo o dal sultano sapendo che gli potrebbero tagliare la testa. È l’incoscienza dell’uomo innamorato di Gesù. Ammirevole, ma non del tutto imitabile. Sono questi santi che, per segnare la strada da seguire, vanno oltre, ma poi devono essere avvicinati un po’ di più alla vita ordinaria”.
Le scelte di Papa Francesco
In queste parole c’è tutto il segno di questi dieci anni di Pontificato. Dalla scelta di vivere a Santa Marta, “a contatto con la gente”, dice il Pontefice, e non nel Palazzo apostolico, al primo viaggio ufficiale di due lustri fa: l’8 luglio 2013 esce dalle mura vaticane e va a Lampedusa, il simbolo dei naufragi dei barconi e delle morti dei migranti. Via le macchine di rappresentanza – per spostarsi usa un’utilitaria – e l’opulenza dei crocifissi. Indossa quello che ha sempre avuto al collo, senza pietre preziose. Molti cardinali, dopo i primi giorni di assoluta sorpresa, hanno ripostone cassetti le loro croci tempestate di preziosi nei cassetti e sono passati a materiali più poveri. Basta privilegi. I porporati, è notizia della scorsa settimana, dovranno pagarsi l’affitto. Papa Francesco, poi, ha messo mano alle spese, troppo alte, del Vaticano: si tagliano i costi e si cambia ciò che è riformabile. Nel 2015 la svolta verde ed ecologista con l’enciclica “Laudato si” sulla cura della nostra casa comune. Si vuole ridurre l’impatto umano sull’ambiente per le generazioni presenti e future. Fino ad allora questi non erano argomenti dei Papi, ma dei politici e degli scienziati. La prevenzione e la lotta alla pedofilia è stato un altro dei punti fermi del pontificato. La Chiesa deve “proteggere i piccoli dai lupi voraci”, ha detto senza troppi giro di parole il Papa.
I viaggi e la pandemia
Poi le missioni estere: 58 nazioni visite e 40 viaggi in dieci anni. Dal Brasile nel 2013, fino al Congo e Sud Sudan del 2023. Primo Papa ad andare in Iraq. Tre Giornate Mondiali della Gioventù: Rio de Janeiro, Cracovia e Panama con più di otto milioni di persone presenti. La Chiesa del futuro sta per essere disegnata dal Sinodo dei Vescovi che si chiuderà il prossimo anno. Basta chiusure ideologiche, nel punto fermo della dottrina, ma con più responsabilità a donne e laici. Comunione, partecipazione e missione. Poi momento più intenso di questi dieci anni. Il 27 marzo 2020, con il mondo bloccato e impaurito dalla pandemia, Francesco, solo, in una Piazza San Pietro bagnata dalla pioggia con il suono lontano delle sirene delle ambulanze che trasportavano in ospedale i contagiati attaccati alle bombole di ossigeno, prega Dio di “non lasciarci soli nella tempesta, presi alla sprovvista, fragili e disorientati, tutti chiamati a remare insieme e bisognosi di confortarci a vicenda”. Infine il conflitto in Ucraina, la “martoriata” Ucraina citata nelle preghiere al termine di ogni Angelus: “Non dobbiamo assuefarci alla guerra. Tutti noi, in qualsiasi ruolo, abbiamo il dovere di essere uomini di pace. Ritornino gli uomini a comprendersi. Riprendano a trattare”. Questa sarà la missione più difficile di Papa Francesco.