Pubblichiamo, in otto puntate, una riflessione teologica di fra’ Gianluigi Pasquale intitolata “L’esegesi della Scrittura in san Bonaventura. Il modello del Commentarius in Evangelium Ioannis”. Questa è la seconda.
Bonaventura e la Sacra Scrittura
Si può parlare di un intenso rapporto d’amore di Bonaventura con la sacra Scrittura. Egli vi vede Dio che si propone oggettivamente all’uomo, perché faccia esperienza di lui, una voce che chiama ad un incontro, al coinvolgimento totale dell’uomo[1]. La Scrittura è per Bonaventura pane duro da masticare, che però viene incontro alla radicale povertà dell’uomo che ha bisogno di nutrimento nell’intelletto e nel cuore[2]. È anche esperienza di pasto nuziale, è offerta all’uomo come «spazio in cui si celebra l’amore»[3]. Infatti:
L’intelligenza delle Scritture è donata da Dio, in uno spazio che parte dall’amore di un dono e deve terminare all’amore di una risposta, per cui fermarsi al solo «scire» è spezzare l’amore[4].
ll testo della sacra Scrittura
Accennavo precedentemente al rinnovamento teologico e biblico fiorito nel XIII secolo[5]. Esso ha le sue radici già nelle dissertazioni di sant’Anselmo d’Aosta, ma anche nel pensiero di Beda il Venerabile; dal Concilio Lateranense III (1179) ormai la teologia inizia ad uscire dall’ambito monastico per diventare disciplina universitaria con specialisti in «sacra pagina» come Pietro Comestor, Pietro il Cantore e il sopra citato Stephen Langton. La modifica della stessa tecnica esegetica arricchisce la Bibbia di un insieme di nozioni e questioni (Biblia glossata), per cui l’insegnamento, da semplice lettura commentata, diventa più completo e articolato.
Bonaventura aveva a disposizione per lo studio e l’insegnamento, oltre ai suoi appunti personali, i testi della biblioteca conventuale e quelli del maestro. È ragionevole pensare che egli si sia servito del testo biblico stabilito nel 1226 da un comitato di Dottori parigini, accompagnato da parafrasi e commenti, detto «Biblia de littera et apparatu parisiensi».
Note sull’esegesi bonaventuriana
La sacra Scrittura non espone le sue ricchezze a uno sguardo frettoloso e superficiale: costituisce piuttosto una mediazione da superare, un velo da rimuovere[6]. Il Prologo del Breviloquium appare come la dichiarazione programmatica dell’esegesi e dell’ermeneutica bonaventuriana. L’incipit dell’opera già dice con quale animo e delicatezza il Dottore Serafico si accinge a scostare un poco il velamen Scripturae per penetrare il mistero di salvezza racchiuso nelle sacre pagine: «Flecto genua mea ad Patrem Domini nostri Iesu Christi». Il passo della Lettera agli Efesini (3,14-19) gli rivela come lo Spirito Santo può farci comprendere le dimensioni della sacra Scrittura: l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità; e cioè la molteplicità delle sue parti, nella descrizione dei tempi e delle età, nella descrizione delle gerarchie ordinate gradualmente, nella moltitudine delle percezioni e delle comprensioni delle realtà mistiche[7]; e tutto questo con l’essere fondati nella carità, per cogliere il fine, «cioè il frutto, secondo la sovrabbondanza della più che completa felicità»[8].
Tra le quattro dimensioni dello spazio della sacra Scrittura presenti nella lettura bonaventuriana, prendiamo in esame quella della «profondità». Qui ritroviamo la dottrina medioevale dei quattro sensi della Scrittura (riassunta dal famoso distico: Littera gesta docet, quid credas allegoria, moralis quid agas, quo tendas anagogia), che a tutt’oggi non ha perso il suo valore[9], se consideriamo che il testo biblico non esaurisce il proprio significato sul piano della narrazione letterale, ma nasconde sotto quest’ultima livelli più profondi di comprensione[10]. Questa multiformità di significati trova la sua ragion d’essere nel soggetto della Bibbia, perché essa tratta di Dio, di Cristo, delle opere della riparazione e di ciò che è credibile[11]; è richiesta dalla condiscendenza divina verso chi legge, «per superare così ogni intelletto e per illuminare e parimenti accendere con la moltitudine dei suoi raggi ogni intelletto che diligentemente tende ad essa»[12]; è pure richiesta dal principio della Scrittura «perché essa è da Dio per mezzo di Cristo e dello Spirito Santo che parla attraverso le bocche dei Profeti e degli altri che scrissero questa dottrina»[13].
Riguardo al modo di procedere della sacra Scrittura, Bonaventura ribadisce che era «necessario che avesse modi propri, secondo le varie inclinazioni degli animi, che inclinano in maniere diverse gli animi»[14]; ed elenca questi modi: «il narrativo, il precettivo, il proibitivo, l’esortativo, il predicativo, il promissivo, il deprecativo e il laudativo»[15], tutti posti sotto l’autentico modo dell’autorità del Rivelante, massimamente degno di fede. Per l’autorità di Dio «la sacra Scrittura è perfettamente autentica in questo suo modo proprio» e «non trasmessa grazie all’indagine umana ma per rivelazione divina»: è questo il motivo per cui «nulla in essa deve essere disprezzato come inutile, nulla rifiutato come falso, nulla respinto come iniquo»[16]. Nel sesto paragrafo, Bonaventura spiega dettagliatamente i criteri pratici per quella che con cautela oggi potremmo chiamare un’ermeneutica biblica, con una triplice regola per l’esposizione[17]. Ancora un punto merita almeno un cenno: «Gli Evangelisti non sono autori principali, ma amministratori plenari quanto alle parole e all’intelletto»[18], cioè non riportano le ipsissima verba Iesu, ma ne conservano il senso.
[1] Cfr. R. Crivelli, L’esperienza cristiana. Figura, senso e logica secondo san Bonaventura, LIEF, Vicenza [s.d.], pp. 246-247.
[2] Cfr. Bonaventura da Bagnoregio, Collationes in Hexaëmeron, c. 17 n. 1 (V, 409).
[3] R. Crivelli, L’esperienza cristiana, p. 248; Bonaventura da Bagnoregio, Commentarius in Evangelium Lucae c. 4 n. 16 (VII, 362).
[4] R. Crivelli, L’esperienza cristiana, p. 254.
[5] Cfr. J.G. Bougerol, Introduzione generale, in Opere di san Bonaventura, a cura di J.G. Bougerol – C. Del Zotto – L. Sileo, Città Nuova, Roma 1990, pp. 50-51.
[6] R. Crivelli, L’esperienza cristiana, p. 249; Bonaventura da Bagnoregio, Commentarius in Evangelium Lucae, c. 24 n. 6 (VII, 588).
[7] Cfr. Bonaventura da Bagnoregio, Breviloquium, Prol. 8.
[8] Ivi, 4,1.
[9] Riproposta anche dal Catechismo della Chiesa Cattolica ai nn. 115-119.
[10] Cfr. Bonaventura da Bagnoregio, Breviloquium, Prol. 4,1.
[11] Cfr. ivi, 4,3.
[12] Cfr. ivi, 4,4. Giova notare come questa dottrina trovi risonanza in Dei Verbum: «Cum autem Deus in Sacra Scriptura per homines more hominum locutus sit» (DV 12); «Dei enim verba, humanis lingua expressa, humano sermoni assimilia facta sunt, sicut olim Aeterni Patris Verbum, humanae infirmitatis assumpta carne, hominibus simile factum est» (DV 13); e risponda alla volontà salvifica universale di Dio (cfr. DV 11): «[…] quia auditor istius doctrinae non est unius generis, sed cuiuslibet; omnes enim salvandos oportet aliqua de hac doctrina scire», Bonaventura da Bagnoregio, Breviloquium, Prol. 4,4.
[13] Ivi, 4,5.
[14] Ivi, 5,2.
[15] Ivi, 5,1.
[16] Ivi, 5,3.
[17] Criteri. (1) «Cum enim ipsa [Scriptura] sub una littera multiplicem tegat intelligentiam, expositor debet abscondita producere in lucem et illam eductam manifestare per aliam Scriptura magis patentem» [Breviloquium, Prol., 6,1; cfr. In Ioan., Prooem., 2 e passim dove Bonaventura spiega i versetti di Giovanni con altri presi dai contesti biblici più svariati]: è il principio, già biblico, di spiegare la sacra Scrittura con la sacra Scrittura [cfr. Pontificia Commissione Biblica, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa [n. 27], Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1993, p. 32]. (2) Affidare alla memoria testo e lettera della Bibbia, abituandosi a leggerla (cfr. DV 22 e 25). (3) [V. § 2.2.2] «[…] non ubique requirenda est allegoria, nec omnia sunt mystice exponenda». La Scrittura ha quattro parti: 1 – tratta delle sostanze mondane secondo il senso letterale e per esse vuol significare la nostra riparazione; 2 – tratta degli atti e progressi del popolo d’Israele e significa la riparazione del genere umano; 3 – tratta di fede e costumi con parole semplici, significando ed esprimendo ciò che riguarda la nostra salvezza; 4 – preannuncia il mistero della nostra salvezza, in parte con parole semplici, in parte con parole enigmatiche ed oscure. (4) Per commentare ed esporre la Scrittura è necessario preconoscere la sua verità (cfr. DV 12) secondo ciò che vi è detto in modo esplicito, cioè fare attenzione alla dialettica buoni/cattivi (i primi umiliati e poi esaltati eternamente, i secondi viceversa) e conoscere Dio come principio, la creazione, la caduta, la redenzione, i sacramenti, la pena e la gloria eterne (cfr. DV 9 e 10); la Scrittura pertanto va interpretata nella Chiesa e con la Chiesa.
Triplice regola per l’esposizione. È tratta dal De doctrina christiana di sant’Agostino (III, c. 10 nn. 14ss; II, c. 9 nn. 14ss). (1) Se il primo significato di un passo biblico riguarda: realtà della creazione o singole azioni e consuetudini umane, allora il primo significato sono le realtà designate dalla lettera e il secondo sono i misteri della nostra redenzione; se, invece, riguarda fede e carità, allora nessuna allegoria. (2) Se è: realtà della creazione o consuetudini del popolo d’Israele, allora 1°) si cerca il significato di ogni cosa in un altro luogo della Scrittura, 2°) si cerca il significato in termini di verità, di fede od onestà dei costumi. (3) Se è letterale e spirituale allora si deve cercare se sia più conveniente il significato storico o spirituale o entrambi.
[18] Bonaventura da Bagnoregio, Commentarius in IV librum Sententiarum, d. 2 a. 4 q. 1 ad 1 (IV, 55).