La Lettera dal convento di fra’ Gianluigi Pasquale di oggi, venerdì 3 febbraio.
Il voto di castità
Oltre al voto di obbedienza e di povertà, fin dall’inizio del cristianesimo monaci e religiosi professavano anche quello di castità, di cui vogliamo parlare in questa Lettera. Si tratta, in generale, della libera scelta di non unirsi in matrimonio e, quindi, di non formare una famiglia, “voto” che è presente non solo nella religione cristiana, ma anche in altre tradizioni religiose, soprattutto asiatiche e orientali, come il buddhismo, il taoismo e lo Shintoismo, meno nelle tradizioni religiose africane e meno ancora in quelle “arabe”. La scelta di vivere in castità, pur essendo simile nel rinfrangersi sulle religioni, è, dunque, radicata in motivazioni piuttosto diverse tra loro. Osserviamo quella cristiana.
Casti perché già innamorati
Coloro che, tra i primi cristiani, scelsero di non unirsi in matrimonio lo fecero per una ragione profonda radicata nella sacra Scrittura, ossia per imitare in tutto la vita casta e vergine di Gesù di Nazareth, figlio di Dio (Mc 12,25). Egli stesso ebbe modo di affermare «vi sono alcuni che si sono resi eunuchi per il Regno dei Cieli» (Mt 19,12). Quindi, il motivo profondo non sta nel non-sposarsi, ma nella scelta di essere il più possibile simili a Gesù Cristo, entrando alla sua sequela con gli stessi atteggiamenti e gli stessi sentimenti (Fil 2,5): il che, come si intuisce, costituisce una differenza sostanziale. È perché ci si è completamente innamorati del Signore Gesù (Gv 14,21) che si preferisce non legarsi a nessuna donna o a nessun uomo: si è, infatti, già “legati”, nel cuore e anche nel corpo. In questo caso preciso, la castità supera e ingloba il celibato. Il celibato consiste nella scelta di non contrarre matrimonio. La castità, oltre a questo, consiste nella scelta di non esercitare la sessualità, coincidendo quest’ultima con la verginità.
Dal volto della Chiesa casta si intravede quello di Gesù
Come si può facilmente immaginare, la castità – alla pari della povertà e dell’obbedienza – non è mai una scelta fatta una volta per tutte, bensì ogni giorno. È un «eccomi» (Lc 1,38) quotidiano, intriso di amore per la persona del Signore Gesù, «il più bello tra i figli dell’uomo» (Sal 44,3). In realtà, l’altra motivazione biblica che nutre questa scelta quotidiana procede dalla “chiamata” di Gesù, il quale invita i discepoli «perché stessero con lui» (Mc 3,13). È semplicemente stupendo! Infatti, la castità costituisce la prova esterna della voce eterna di Gesù sposo (Ap 22,7) che penetra le nubi di oggi e chiama giovani uomini e donne a stare con Lui e, così, a manifestarsi in comunità o fraternità di frati, suore e monaci. Non è forse vero che è in una comunità fraterna e gioiosa che si intravede la bellezza del volto di Gesù risorto (Fil 4,4)?
La castità e la cura delle relazioni
È, tuttavia, facile immaginarsi come la rinuncia legata alla castità sia molto esigente. Perché se può essere comprensibile la rinuncia all’esercizio della sessualità, lo è meno quella implicata nella rinuncia a generare figli propri. Per questo, tra gli ebrei e i mussulmani, oppure tra le religioni tribali africane, la castità come scelta è vista con grande sospetto e l’infecondità è, addirittura, una maledizione divina (Gn 16,2). Ecco perché la castità è giustificabile e giustificata solo per fede. E, quindi, per nessun altro motivo se non quello che anche Gesù fu casto e vergine. Sappiamo anche che, specie nella società occidentale, molti sono costretti alla castità non per scelta, bensì perché separati, divorziati, vedovi, oppure “single”. Per quanto paradossale ciò possa sembrare, sono proprio queste categorie di persone che ci aiutano a capire che la castità è un modo per curare le relazioni, anche quelle ferite. Ossia: la scelta o l’impossibilità di non generare (più) figli, sprigiona nel soggetto la possibilità di essere padre e madre in altro modo, ovvero di curare le relazioni con sé, con gli altri e con Dio, vivendole in Gesù Cristo e come Gesù Cristo (Gal 3,28). Questo è il grande segreto della castità: la possibilità di avere un sorriso sempre: innocente, pulito, fragile e infranto, ma pur sempre una relazione sorridente. Qui la castità si trasforma in verginità, molto più reale di quella fisica.