La Lettera dal convento di fra’ Gianluigi Pasquale di oggi, venerdì 20 gennaio: “Dicevamo nella Lettera della scorsa settimana che nella vita consacrata i religiosi emettono i tre voti di povertà, castità e obbedienza, tanto che alcuni e alcune di loro portano dei “nodi” al cingolo posto attorno al saio, quasi fosse un promemoria che dura per tutta la vita. Partiamo oggi da quello di obbedienza.
Gesù Cristo, il primo obbediente
Quando i primi monaci si sentirono chiamati da Dio a ritirarsi dal mondo in una vita anacoretica o eremitica scelsero liberamente di obbedire a Dio Padre alla pari di Gesù che venne nel mondo non per fare la sua volontà, «ma la volontà di colui che mi ha mandato (Gv 6,38). È, Gesù, il Figlio di Dio, infatti, il primo vero consacrato che dà origine alla vita consacrata. Ben presto, però, come accadde a Sant’Antonio abate (251-356), capostipite del monachesimo occidentale, alcuni seguaci chiesero di poter condividere la vita di alcuni anacoreti, creando le prime forme di cenobitismo, ossia di vita in comune. All’inizio, infatti, si voleva imitare la vita di Gesù che raccolse attorno a sé dodici apostoli perché «stessero con lui» (Mc 3,14), formando una vera e autentica famiglia spirituale e fraterna. Come accade anche oggi. L’iniziatore della vita monastica era considerato un «abbà», un padre, al quale tutti gli altri volentieri «prestavano obbedienza», sia nelle mansioni di tutti i giorni, sia per raggiungere altri luoghi situati in altre località. Il voto di obbedienza, pertanto, è rivolto a Dio, ma anche ai cosiddetti superiori. Il fine è duplice ed eminentemente evangelico: rappresentare la primitiva comunità dei discepoli di Gesù e agevolare l’annuncio del Vangelo in patria oppure in altri Paesi.
Obbediamo tutti a qualcosa
Il «voto» di obbedienza è, quindi, frutto della fede in Dio e solo con questa esso è spiegabile e vivibile sulla propria pelle. Al contempo, è molto attuale perché, al di là del fatto che uno sia un religioso o una religiosa, l’obbedienza è – come si dice – antropologicamente connotata. Il che significa: tutti i cristiani sono chiamati ad obbedire, come fece in modo mirabile la prima cristiana, la Vergine Maria (Gv 19,26). Ma anche tutti gli altri uomini, perché ognuno di noi ha una scadenza da rispettare, un compito da eseguire un desiderio da soddisfare. Obbedire, in realtà, deriva da «ob audire», dall’ascoltarsi dentro, a tal punto che con l’obbedienza si mantiene “in asse” l’esistenza, conferendole senso, scopo e finalità. Rispetto agli altri voti di povertà e verginità, quello di obbedienza risulta il più impegnativo, a volte il più difficile perché implica l’abnegazione e, talvolta, l’abdicare alla propria volontà; quasi sempre, poi, comporta la continua disponibilità a trasferirsi altrove, non per scelta propria, ma, appunto, «per obbedienza». Un religioso, infatti, non ha una casa e un terreno propri. Eppure, questa caratteristica di essere “senza territorio” o in continua itineranza – a ben guardare – è l’identità peculiare del popolo di Israele, sorto senza terra (Dt 1,19), e anche di quella del Figlio di Dio (Mt 8,20).
Obbedire significa essere pronti all’annuncio
L’obbedienza religiosa sta, dunque, in equazione con l’essere itinerante del frate, della suora, del missionario e anche del sacerdote. Con una finalità ben precisa: servire in maniera più efficacie l’annuncio del Vangelo. Se l’obbedienza implica la non stanzialità, allora è molto più facile essere liberi da qualsiasi legame (Lc 14,26) per recarsi fino agli estremi confini della terra (At 1,8) ad annunciare il Vangelo di salvezza, fondando la Chiesa, eppure già trovandola perché chi obbedisce non è mai solo: vive sempre in Gesù Cristo. Quando pensiamo ai santi e alle sante che ci hanno preceduto, oppure soltanto anche ai nostri genitori, rimaniamo ammirati per come essi siano riusciti ad obbedire a Dio e agli eventi, nonostante tutto. L’obbedienza – e il suo voto – ha un alcunché di soprannaturale: sintonizza la volontà umana con il progetto di Dio, accendendo luci nella trama della storia. Per questo nel cuore dell’unica preghiera degna di questo nome, il Padre nostro, diciamo: «sia fatta la tua volontà, come in Cielo così in terra».