Lettere dal convento: Beata Eurosia Fabris Barban: la prima beata italiana di Benedetto XVI
I Santi: un frammento di Cristo nel presente
I santi e le sante rappresentano la linfa per il rinnovamento della Chiesa, sposa di Gesù Cristo, e per la società. Il compianto Pontefice Benedetto XVI (1927-2022), mentre era Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (1981-2005) era solito celebrare la Santa Messa quotidiana nella Chiesa di Santa Maria della Pietà in Camposanto dei Teutonici in Vaticano. Quando non cadeva una festa particolare, ovvero nei giorni feriali, utilizzava il momento dell’omelia, com’è risaputo, per presentare la figura del santo o della santa presenti nel calendario, in quella data. Tuttavia, è negli auguri natalizi del 2008 alla Curia Romana, dove troviamo la migliore definizione del santo: «i santi sono frammenti del Cristo finale che si staccano dal futuro ed entrano nel nostro presente ecclesiale per dargli senso»: (Benedetto XVI, Insegnamenti, vol. IV/2, p. 916). Questa medesima convinzione lo guidò certamente anche nella scelta di iscrivere all’albo dei beati Eurosia Fabris Barban (1966-1932), la sua “prima beata” italiana, perché canonizzata nella Cattedrale di Vicenza il 6 Novembre 2005. La memoria liturgica ricorre dopodomani, come ogni anno, l’8 di Gennaio. Ma chi era questa donna?
I tre volti della maternità
Per rispondere a questa domanda vogliamo partire dall’«incipit» del Breve apostolico di beatificazione che porta la firma di Benedetto XVI, dove leggiamo: «Mulier se ipsa invenire nequit nisi amorem donando» che tradotto significa: «la donna può trovare se stessa solo donando amore». Rosina, così veniva chiamata questa giovane fanciulla nata a Quinto Vicentino, in Diocesi e Provincia di Vicenza, il 27 Settembre 1866, poteva sembrare una donna come tante altre della società contadina di allora: una fervente cristiana, una sarta e una catechista. Eppure, nel suo cuore parlava una Voce che la guidava a non considerare banali le relazioni con gli altri, ma ad utilizzarle per donare – e ricevere – amore. Trasferitasi a Marola (VI) con la famiglia, conobbe un giovane contadino, Carlo Barban, rimasto vedovo a soli ventisette anni e con due piccole bimbe: Chiara e Italia, rimaste sole in tenera età. Ben presto, Eurosia si sentì trasportata a prendersi cura di queste due orfanelle, quasi sentisse una prima chiamata, finché un giorno ne udì una seconda, sempre da quella Voce. Sposare il giovane vedovo Carlo per dare a quelle due creature una famiglia, quindi con un matrimonio eroico. E così, avvenne. Da Carlo, Eurosia ebbe altri nove figli, di cui due diventarono sacerdoti, uno frate francescano e una suora. Da sposa e da mamma, poi, ne sentì una terza: quella di adottare altri bimbi che giunsero a casa sua, in accordo con il marito Carlo, tra cui Mansueto, divenuto, poi, fra’ Giorgio, pure frate francescano. Eurosia accettò, così, tre tipi di maternità: di affido, naturale e di adozione. Per questa ragione è conosciuta in Italia e all’estero come «Mamma Rosa».
Mamma di famiglia e di sacerdoti
La scelta di Benedetto XVI, però, appare azzeccata anche per altri tratti biografici che resero luminosa l’esistenza di questa donna cristiana. Il primo si rintraccia nei «dialoghi» che Mamma Rosa ebbe direttamente con Gesù e la vergine Maria, soprattutto quando ebbe modo di salire al vicino Santuario Mariano di Monte Berico (VI) in preghiera. Dalla Sacra famiglia poté conoscere in anticipo gioie e dolori a cui Dio l’avrebbe chiamata per offrirsi per il bene della Chiesa intera, come la morte prematura del figlio Mansueto (1908-1922), giovane seminarista a Vicenza. Il secondo tratto, sta nell’aver saputo innestare femminilità e maternità in chi la incontrava, rappacificando, incoraggiando, istruendo, perdonando, offrendo cibo e beni ai poveri. Infine, nell’aiutare le vocazioni al sacerdozio e al matrimonio cristiano. Non è, infatti, un caso che la devozione alla Beata Mamma Rosa, che ora riposa nella Chiesa di Marola (VI) e che è pure la mia bisnonna materna, si sia diffusa, dopo la sua morte (1932) soprattutto in Polonia, Asia, Stati Uniti e Pakistan. Insomma, Papa Benedetto XVI, nel volerla dichiarare beata aveva visto bene perché aveva visto lontano: nel tempo e nello spazio.