Scopo di questo intervento è quello di interrogarsi se esista ancora una filosofia della storia e se essa rientri anche oggi a pieno titolo nell’arena delle scienze. Questa è la seconda parte della riflessione.
Eleusi: un testo emblematico per la sintattica hegeliana
Sennonché, potrebbe succedere di imbattersi in un testo giovanile e originale di Hegel che potrebbe interessare la nostra modernità “irritata”, evitando che il filosofo di Jena – al quale sembra dobbiamo, comunque, ricorrere – sia rigettato un’altra volta, come avrebbe fatto fino a ieri la post-modernità. Si tratta dell’incompiuto poemetto Eleusidedicato all’amico Hölderlin (1770-1843), datato 1796[9]. Questo testo costituisce un punto di sutura fra il sistema hegeliano e la temperie romantica in cui venne elaborato.
La portata di Eleusi è spesso sottovalutata a motivo della sua datazione precoce rispetto alle opere tecnicamente speculative, ma soprattutto a motivo della forma poetica adottata. Si è, difatti, voluto leggervi un tentativo di Hegel – peraltro mal riuscito – di emulare l’amico poeta o, comunque, di assecondare un afflato mistico e visionario che la prosa non avrebbe potuto rendere altrettanto bene. Nel ricordare questo passaggio, vi è, infatti, chi afferma che «aldilà dell’artificio poetico, è indubbio che qui Hegel ci scopra qualcosa di profondo: quella struggente Sehnsucht dell’infinito – della totalità conciliata – che egli proprio in quegli anni stava cercando di raggiungere e afferrare anche razionalmente»[10].
A parte l’attribuzione o meno ad Hegel del contemporaneo Il più antico programma di sistema dell’idealismo tedesco[11], che fornirebbe un sostrato teorico alla poesia Eleusi propugnando esso che la poesia torni a esercitare un ruolo di guida per l’umanità compenetrando la filosofia e la politica, vi è un altro testo collegabile ad Eleusi, e cioè il Frammento di sistema[12] del 1800. Il nucleo di questo scritto, che vede già profilarsi il “principio della contrapposizione” e perciò la dialettica, è che l’elevazione del finito all’infinito si caratterizzi come l’elevazione della vita finita all’infinita, riservando la prima elevazione al pensiero e perciò alla filosofia, e la seconda – e più importante – alla vita, e perciò alla religione. Questo nesso fra Eleusi e il Frammento di sistema garantisce ad Eleusi un’autentica portata teoretica, costituendola quale vera prolessi di contenuti che, soltanto più tardi, Hegel avrebbe trattato. Ma veniamo, finalmente, ad un passo:
lo spirito si perde in questa contemplazione, quel che chiamavo «mio» si dissolve, io mi abbandono all’incommensurabile, io sono in lui, sono tutto, non son che lui. Il pensiero ritornato in sé trema dinnanzi all’infinito, e, pieno di stupore, non coglie la profondità di questa contemplazione. L’immaginazione mette l’eterno alla portata dello spirito, lo avvolge di forme. Siate, dunque, i benvenuti, spiriti sublimi, nobili ombre, dalle cui fronti s’irradia la perfezione! Ora lo spirito non si spaventa. Io lo sento: il solenne splendore che vi circonda è anche l’etere del mio paese natale [13].
Due sono i punti notevoli. Il primo è quello che tenta di suggerire il superamento del proprio limite da parte dell’autore attraverso l’identificazione con l’incommensurabile, con l’infinito: «io sono in lui, sono tutto, non son che lui». Questa relazione, anzitutto, viene trattata come una situazione di fatto, di uno status quo, una sorta di stato in luogo. Poi si connota come un’identificazione con l’assoluto, con la totalità. Soltanto alla fine diventa un’affermazione mediante duplice negazione, che fonde le due espressioni precedenti.
Sarebbe un errore non tenere in debita considerazione questo brano. Esso, infatti, aiuta a comprendere quella che potremmo chiamare la sintattica hegeliana. In questi versi Hegel non fornisce una definizione dell’infinito, tuttavia, certo aiutato dal linguaggio poetico di cui si avvale, ne fornisce un’immagine, una sorta di esemplificazione. Il precipitato, proprio come avviene nelle soluzioni chimiche, è che il poeta non è altro che l’infinito. Certo, a questo livello non è lecito stabilire se l’infinito si esaurisca nel poeta, o se necessariamente il poeta si esaurisca nell’infinito; ma questo, intanto, è un modo di definire sia il poeta sia, e soprattutto, l’infinito.
Il secondo punto notevole di questo passo poetico è il seguente: «l’immaginazione mette l’eterno alla portata dello spirito, / lo avvolge di forme». Il verso, benché manifesti in modo preponderante il ricorso a una suggestione poetica, permette, nondimeno, di riconoscere un ulteriore procedimento caro ad Hegel. Si tratta cioè dell’assunzione della forma – alienazione, incarnazione, storia – da parte dell’eterno, dell’assoluto. Il fatto che questo verso faccia risalire tale operazione alla fantasia – o “immaginazione”, termine tutt’altro che banale entro il contesto romantico[14] –, significa anche che di questo processo è consapevole il pensiero, nulla avvenendo al di fuori di esso.
Tre sono le dramatis personae, e cioè l’immaginazione (Einbildungskraft), l’eterno e lo spirito. L’immaginazione certo appartiene al poeta, ma è quella che media fra l’eterno (infinito) che gli si presenta e lo spirito (infinito) che, se risiede nel poeta, lo fa, però, in maniera non esclusiva, poiché si differenzia dalla sua immaginazione; ed è quest’ultima a entrare in effettivo contatto con l’eterno. Il poeta, infatti, è l’incommensurabile, al punto da essere capace di riconoscere nell’eterno che ha preso forma, nel suo splendore, «l’etere del [suo] paese natale». Ma l’ulteriore elemento fondamentale contenuto in questo verso è il seguente: l’eterno diventa alla portata dello spirito solo e soltanto se l’eterno viene avvolto da una forma, che è di solito forma storica. Per quanto banale possa apparire tale affermazione, essa costituisce – se vedo giusto – l’assunto centrale del pensiero hegeliano. L’operazione dell’immaginazione, dunque, è un’operazione propria dell’eterno (infinito) stesso, della sua astuzia e genialità, volta all’assunzione della forma, che è finita.
Nella tardo modernità la razionalità si mostra, non si dimostra
Dove sta allora la “razionalità” della storia pensata alla Hegel – ovvero il fatto che la totalità infinita abbia una sua ratio – se non in quell’“immaginazione” che osserva essere la storia (finita) già decisa dall’“esito degli avvenimenti”, di modo che la conclusione – il suo giungere all’infinito – della storia dota della sua esatta realtà e contingenza ogni momento (forma) specifico della storia che la precede? Sembra che sia proprio ritornando allo Hegel di Eleusi che si possa ribaltare l’ipotesi secondo la quale il filosofo di Jena abbia fatto colare a picco la filosofia della storia nelle maglie necessitanti della sua razionalità. E questo perché è l’immaginazione che non permette al concetto di vincerla sulla storia. L’immaginazione “vede” la razionalità di ogni momento storico finito e, quindi, quella della storia universale dello Spirito. Insomma, la “filosofia della storia” gode certamente di un statuto epistemologico proprio, appunto perché esso sta sopra (epí–stéme) a quelle forze che vorrebbero, forse, scuoterne lo stante (√stha), ovvero l’incontrovertibile che il fine non è, più, la fine. Il compito della filosofia della storia è, infatti, quello di mostrare – non dimostrare – la “bontà” – che Hegel chiama “razionalità” – di ogni momento storico e la sua carica di senso, bontà e senso che, inevitabilmente si rivestono di conseguenze talora inaspettatamente universali. Ma questo “bonifico ermeneutico” ci è permesso solo oggi, nella tardo modernità, la quale non dichiara la fine delle grandi narrative, né tanto meno delle concezioni razionali e universali di ciò che ci accade dopo l’11 Settembre 2001.
[1] W. Dilthey, Texte zur Kritik der historischen Vernunft, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 19834, pp. 258-259; tr. it. P. Rossi, Critica della ragione storica, Torino, Einaudi, 1982, pp. 381-382.
[2] Si tratta della forte critica che S. Givone muove nel suo Il bibliotecario di Leibniz. Filosofia e romanzo, Torino, Einaudi, 2005, pp. 10-63.
[3] Cfr. D. Henrich, Metafisica e modernità. Il soggetto di fronte all’assoluto, a cura di U. Perone, Rosenberg & Sellier, Torino 2008, pp. 97-100; Ch. Larmore, Dare ragioni. Il soggetto, l’etica, la politica, a cura di U. Perone, Rosenberg & Sellier, Torino 2008, pp. 132-133. Lo aveva fatto intuire anche la Prof. Ágnes Heller quando affermò che «dopo Hegel non c’è più metafisica. Se la metafisica rimane, rimane solo come visione del mondo»: Á. Heller, Per un’antropologia della modernità, a cura di U. Perone, Torino, Rosenberg & Sellier, Torino 2009, p. 95.
[4] Cfr. A. Giddens, The consequences of modernity, Cambridge, Polity Press, 1991; H.J. Busch, Spätmoderne Gesellschaft und Depression, in S. Hau – J. Busch – H. Deserno, a cura di, Depression – zwischen Lebensgefühl und Krankheit, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 2003, pp. 195-213; Y. Yazbeck – B. Freyer Stowasser, Islamic Law and the Challenges of Modernity, London, Rowman & Littlefield, 2004.
[5] Come avevo fatto notare in G. Pasquale, Il rientro della postmodernità. Virtualità cristiane della secolarizzazione nel mondo postsecolare, «Ricerche Teologiche» 16 (2005) pp. 239-257.
[6] Classica è la contrapposizione, per esempio, tra Karl Löwith (1897-1973) e Hans Blumenberg (1920-1996): cfr. H. Blumenberg, Die Legitimität der Neuzeit, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1966-19742, un cui significativo stralcio in lingua italiana, per la tr. R. Cristin, si trova in Il progresso svelato come fatalità, «Aut-Aut. Nuova Serie» n. 222 (1987) pp. 51-59, e la successiva risposta in K. Löwith, Recensione del libro di Hans Blumenberg, ibid., pp. 60-66.
[7] W. Dilthey, Texte zur Kritik der historischen Vernunft, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 19834, p. 262; tr. it. P. Rossi, Critica della ragione storica, Torino, Einaudi, 1982, p. 384.
[8] G.W.F. Hegel, Jenaer Systementwürfe, III, Gesammelte Werke 8, hrsg. von R.-P. Hortstmann und Mitar von J.H. Trede, Hamburg, Meiner, 1976, p. 298, tr. it. G. Cantillo, Filosofia dello spirito, sez. II [§ 549], a cura di A. Bosi, UTET, Torino, 2000, p. 396.
[9] Cfr. G.W.F. Hegel, Eleusi, in Id., Jenaer Systementwürfe, I, Gesammelte Werke 6, hrsg. von R.-P. Hortstmann und Mitar von J.H. Trede, Hamburg, Meiner, 1975, pp. 122-125, tr. it. E. Mirri, Scritti giovanili, Napoli, Edizioni Guida, 19932, pp. 118-137.
[10] P. Coda, Il negativo e la Trinità: ipotesi su Hegel. Indagine storico-sistematica sulla «Denkform» hegeliana alla luce dell’ermeneutica del cristianesimo. Un contributo al dibattito contemporaneo sul Cristo crocifisso come rivelazione del Dio trinitario nella storia, Roma, Città Nuova, 1987, pp. 46-47.
[11] G.W.F. Hegel, und das älteste Systemprogramm des deutschen Idealismus, in Id., Gesammelte Werke 1, hrsg. von R.-P. Hortstmann und Mitar von J.H. Trede, Hamburg, Meiner, 1974, pp. 234-237, tr. it. L. Amoroso, Hölderlin e il più antico programma di sistema dell’idealismo tedesco, Edizioni ETS, Pisa, 2007, pp. 122-125.
[12] Ultimo tra gli G.W.F. Hegel, Jenaer Systementwürfe, II, Gesammelte Werke 7, hrsg. von R.-P. Hortstmann und Mitar von J.H. Trede, Hamburg, Meiner, 1976, pp. 122-125, tr. it. E. Mirri, Scritti giovanili, Napoli, Edizioni Guida, 19932, pp. 118-137, composto nel periodo di Jena (1800-1807) e conosciuto anche come Frammento sull’amore.
[13] G.W.F. Hegel, Eleusi, in Id., Jenaer Systementwürfe, I, Gesammelte Werke 6, hrsg. von R.-P. Hortstmann und Mitar von J.H. Trede, Hamburg, Meiner, 1975, p. 123, tr. it. E. Mirri, Scritti giovanili, Napoli, Edizioni Guida, 19932, p. 131.
[14] Basti uno per tutti il parere dell’inglese S.T. Coleridge, Biographia Literaria, or Biographical sketches of my literary life and opinions[1817, cap. XIII], a cura di G. Watson, Everyman’s Library, London, Dutton, 19672, p. 321.