Il lavoro di stesura dell’Enchiridion della Nuova Evangelizzazione[1] (Pio XII fino a Benedetto XVI, compreso il Concilio Vaticano II), alla redazione del quale sono stato chiamato a partecipare, ha chiaramente messo in luce che allorché i Padri conciliari intervenivano sulla «storia», (Geschichte), intendevano riferirsi non soltanto a quella dell’uomo, ma anche a quella di Gesù Cristo, e alla «storicità» (Geschichtlichkeit) in generale in essa implicata. L’uomo, infatti, viene considerato come quell’ente che si realizza solamente nella storia, mentre questa, a sua volta, attua la propria essenza soltanto attraverso l’uomo[2]. L’uomo, pur abitando nello spazio e nel tempo come tutti i suoi simili, e come tutti gli altri esseri animati, è, però, l’unico che vive nella storia in modo storico (geschichtlich), proprio perché una parte della storia corrisponde all’autointerpretazione che l’uomo di essa si dà[3]. Il percepirsi dell’uomo in questi primi anni del secolo XXI, per esempio, non è identico a quello degli anni Ottanta del secolo scorso perché qualcos’«altro» è accaduto nella storia, un qualcosa che – come sappiamo – si definisce come “storicità”.
La storicità, dunque, è la caratteristica con la quale l’uomo deve «mettersi in pari»[4] con la sua essenza, dovendo trasformare mondo e tempo in esistente. Qui qualsiasi uomo, credente o meno, si accorge che la storicità ha bisogno di essere continuamente salvata, mediante un «senso» che illumini e fondi l’esistenza, senso verso il quale è spinta la ragione umana. E il senso è una parola (lógos), almeno la parola che l’uomo «si sente» di dare come giustificazione per quanto gli accade. Con ciò siamo giunti a un primo obiettivo fondamentale: la «spiritualità» dell’uomo, almeno leggendo Gaudium et spes, è quella per lui di dover essere necessariamente rivolto alla storia, in ascolto, per così dire, di una voce acuta, presente nella storia stessa, che porta i panni di una rivelazione[5] o, come diceva il beato Giovanni XXIII, dei «segni dei tempi».
La costituzione dell’uomo dinnanzi al Dio che si rivela
Da quest’angolo visuale appare, dunque, che l’uomo è un essere creato e continuamente ricreato – se così ci possiamo esprimere – dalla Rivelazione di Dio in quanto è un attento – ossia «costrittivamente obbligato» – uditore della Parola. In realtà, proprio la sua spiritualità gli impone di rivolgersi alla storia dove percepisce quel senso che egli «si sente» di dare come ragione di quanto gli accade, nel bene o nel male. E questo è, esattamente, ciò che in teologia si definisce con il concetto di «trascendentalità», come quel dover rivolgersi alla storia da parte dell’uomo, dal momento che in essa egli trova la forma trascendentale per antonomasia che è Gesù. È in questa forma storica che Dio si esibisce in quanto trascendente e costituisce l’uomo ascoltatore della Parola, ossia lo costituisce essere storico[6]. In modo icastico si può anche dire: nella mondanità l’uomo rintraccia un alcunché di divinità, appunto perché essere trascendentale, essendo un idoneo ricettacolo di Rivelazione.
I prodromi di «Verbum Domini» (2010) in «Dei Verbum» (1965)
Questa breve introduzione pone in risalto un binomio fondamentale per comprendere non solo tutta la teologia della Rivelazione in genere, ma anche quella conciliare: si tratta del legame profondo tra parola (verità) e storia[7]. La stessa titolazione dell’Esortazione Apostolica post-sinodale Verbum Dominirubrica, per converso, il nostro approccio. L’espressione in quanto tale, infatti, rappresenta un’autentica novità nei testi del Magistero cattolico. Assente nei Lineamenta, si rinviene nella proposizione VII[8]. Ma procediamo con ordine. Se nel recente passato il modello neoscolastico aveva pressoché accantonato, nell’estrinsecismo di una theologia naturalis «sub ratione deitatis» il rapporto tra theologiae oikonomia[9], è proprio con il Concilio Vaticano II – e in fattispecie con Dei Verbum – che la relazione tra essenza e storia, posta a fondamento di tale rapporto, si tramuta nel binomio di parola (verità) e storia, grazie a quell’attenzione posta all’uomo, vivente nella storia che ascolta la parola, così rivalutato da Gaudium et spes.
Ovviamente per arrivare a conoscere se Dio parla, dobbiamo (prima) sapere che egli è, e che la sua parola deve incontrarci in un’ora terrena, cosicché qualsiasi metafisica della conoscenza è cristiana se richiama l’uomo nel qui e nell’ora del suo mondo finito. Le domande in cui, insomma, si articola quella che in teologia si chiama la «quaestio de veritate»[10] potrebbero formularsi così: come si rapporta la verità alla storia? La trascende? E, se la trascende, non c’è il rischio che nel suo comunicarsi attraverso la Rivelazione (cristiana) la verità si riduca all’orizzonte del linguaggio in cui essa penetra?
Il primo positivo colpo orientativo dato da parte del Concilio alla teologia si osserva, pertanto, si osserva in primi due effetti germinali: in primo luogo, la teologia da riflessione sulle essenze passa a dare il primato alla rivelazione della parola «sub ratione Christi». Non ci sembra, pertanto, esagerato affermare che il nuovo interesse cristologico penetrato nella teologia del secolo XX provenga in buona misura dalla svolta impressa, in questo caso, dal Vaticano II, la quale solamente mostra come il primo, vero ed unico perfetto ascoltatore della parola sia stato Gesù Cristo, parola fattasi carne[11]. A questo proposito non devono essere ritenuti due casi ingenui il fatto che, innanzitutto, la Costituzione Dogmatica sulla rivelazione inizi proprio così: «Dei Verbum», facendo coincidere quel «Verbum» con la vitam aeternam che è Gesù Cristo (DV 1) e che, poi, l’Esortazione Apostolica post-sinodale, firmata due anni dopo (2010) il Sinodo dei vescovi (2008) sulla Parola di Dio, ne ruoti il semantema in «Verbum Domini».
Il secondo effetto appare oltremodo significativo perché proprio in «Dei Verbum» vi è, come si è detto, il conio, per la teologia cattolica, del concetto di «historia salutis», conio adeguatamente inserito in un contesto cristologico. Ma anche in questo caso, basteranno alcuni accenni all’idea conciliare di «storia della salvezza» per scorgere in essa i natali dello scenario teologico che ci ha condotti all’«Anno della Fede».
[1] Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, Enchiridion della Nuova Evangelizzazione, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2012.
[2] Cf K. Rahner, Hörer des Wortes. Zur Grundlegung einer Religionsphilosophie, Kösel, München 19632, pp. 164-165.
[3] Cf K. Rahner, Grundkurs des Glaubens. Einführung in den Begriff des Christentums, Herder, Freiburg – Basel – Wien 19762, p. 151.
[4] K. Rahner – H. Vorgrimler, «Storia della salvezza», KTW, p. 678.
[5] Cf K. Rahner, Grundkurs des Glaubens, p. 51.
[6] Cf K. Rahner, Hörer des Wortes, pp. 206-207.
[7] Cf B. Forte, «Le prospettive della ricerca teologica», in R. Fisichella, ed., Il Concilio Vaticano II. Recezione e attualità alla luce del Giubileo, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2000, pp. 419-429, qui p. 423-425.
[8] Cf G. Lorizio, «La sacramentalità della Parola dalla Dei Verbum alla Verbum Domini», in E. Herms – L. Žak, ed., Sacramento e Parola nel fondamento e contenuto della fede, (Dibattito per il Millennio 18), Lateran University Press-Mohr Siebeck, Città del Vaticano 2011, pp. 153-189, qui p. 153.
[9] Rimane, a nostro avviso, insuperata l’eziologia storica compiuta da E. Schillebeeckx, Theologische Peilingen. I. Openbaring en Theologie, Nelissen, Bilthoven 1964, pp. 265-281.
[10] Cf G. Pasquale, «La “quaestio de veritate” ovvero la credibilità dell’Amore nella storia», in G. Pasquale – C. Dotolo, ed., Amore e verità. Sintesi prospettica di Teologia Fondamentale. Studi in onore di Rino Fisichella, Lateran University Press, Città del Vaticano 2011, pp. 141-187.
[11] Anzi in Gesù Cristo la parola ha raggiunto la massima espressività e significatività perché il lui si è resa persona, presenza, visibilità e, addirittura, carne: cf K. Rahner, «Neues Testament», in Id., ed., Sacramentum mundi. Theologisches Lexikon für die Praxis, III, Herder, Freiburg – Basel – Wien 1969, coll. 736-743, qui col. 739. Degno di nota è il commento che ne fa A.R. Batlogg, Die Mysterien des Lebens Jesu bei Karl Rahner. Zugang zum Christusglauben, Tyrolia-Verlag, Innsbruck 2001, pp. 127-134. Si veda anche G. Pasquale, «La base storico-salvifica della teologia nel Vaticano II. La “soluzione ecumenica” tra pensiero protestante e cattolico», in C. Aparicio Valls – C. Dotolo – G. Pasquale, Sapere teologico e unità della fede. Studi in onore del Prof. Jared Wicks, Editrice Pontificia Università Gregoriana, Roma 2004, pp. 534-552.