Proprio mentre i cardinali elettori hanno effettuato la prima votazione in Conclave per eleggere il successore di Francesco – il Papa della “terza guerra mondiale a pezzi” – vecchi e nuovi fronti di conflitto nel mondo divampano in maniera ancora più violenta.
La cosa non è sfuggita, ovviamente, allo stesso Collegio cardinalizio che martedì, al termine della dodicesima e ultima congregazione generale pre-Conclave, ha sentito il bisogno di lanciare un appello per la fine degli scontri su tutti i fronti di guerra. Al punto che proprio il tema della pace è sentito tra i temi forti delle sessioni nella Cappella Sistina, del confronto fra porporati e sicuramente tra le principali sfide di quello che sarà l’inizio del futuro pontificato.
“Noi Cardinali di Santa Romana Chiesa, riuniti in Congregazione Generale prima dell’inizio del Conclave”, si legge nell’appello del Collegio, “constatato con rammarico che non si sono registrati progressi per favorire i processi di pace in Ucraina, in Medio Oriente e in tante altre parti del mondo, anzi che si sono intensificati gli attacchi specialmente a danno della popolazione civile, formuliamo un sentito appello a tutte le parti coinvolte affinché si giunga quanto prima ad un cessate il fuoco permanente e si negozi, senza precondizioni e ulteriori indugi, la pace lungamente desiderata dalle popolazioni coinvolte e dal mondo intero”. “Invitiamo tutti i fedeli a intensificare la supplica al Signore per una pace giusta e duratura”, viene aggiunto.
Intanto, è un fatto che la situazione nelle varie aree di scontro sia più calda che mai. Israele ha approvato un piano per invadere Gaza e per trasferire altrove la popolazione palestinese, ormai allo stremo per la mancanza di aiuti. E la soluzione dei “due popoli, due Stati”, tanto cara anche alla Santa Sede, può dirsi definitivamente archiviata.
A poco più di dieci giorni dallo storico faccia a faccia nella Basilica di San Pietro fra Donald Trump e Volodymyr Zelensky, sono in pieno stallo le possibilità di un negoziato per l’Ucraina, dove continuano senza tregua i bombardamenti russi, al punto che lo stesso presidente Usa dice di pensare che “la pace non sarà possibile”, perché Putin e Zelensky “si odiano troppo”. L’India la scorsa notte ha sferrato un attacco al Pakistan, contro “infrastrutture terroristiche” nel Paese e nel Kashmir amministrato da Islamabad, e la Chiesa indiana chiede una de-escalation “nel nome di papa Francesco“. Non si attenuano le situazioni di conflitto in un altro Paese asiatico come il Myanmar, e in Stati africani come il Sudan, il Sud Sudan, la Repubblica Democratica del Congo.
Aree da cui hanno portato le loro sofferte testimonianze anche i cardinali durante le congregazioni generali. Una sofferenza che non si può non sentire anche tra una votazione e l’altra in Conclave, in particolare tra gli elettori delle zone interessate: ad esempio Pierbattista Pizzaballa in quanto patriarca di Gerusalemme, l’arcivescovo di Teheran Dominique Joseph Mathieu; oppure l’ucraino ma arcivescovo di Melbourne Mykola Bychok, i cardinali elettori indiani Filipe Neri Ferrao, Cleemis Baselios, Anthony Poola e George Jacob Koovakad, il pakistano Joseph Coutts, il birmano Charles Maung Bo; o ancora il congolese Fridolin Ambongo Besungu, il sudanese del sud Stephen Mulla, il centrafricano Dieudonné Nzapailanga.
E’ chiaro che i dossier sulle guerre in corso sarà in primo piano sul tavolo del nuovo Papa, e – per auspicio stesso dei cardinali – servirà un figura in grado di guidare il cammino della Chiesa su tali fronti con polso fermo, sicuro e competente. (ANSA).