Chi è quel signore vestito di bianco sottobraccio a Lino Banfi?
«Un mio amico. Sono stato a trovarlo sette volte. La prima gli dissi: voglio diventare il giullare del Papa. Quando lei è incavoleto, mi chiama, e io la faccio sorridere».
«Ogni tanto mi chiama. E io gli racconto gli episodi più divertenti della mia vita, e pure quelli tristi: il mio sogno è sempre stato far ridere e piangere insieme. Come prova d’amicizia gli ho chiesto questa foto. Lui ha messo via il bastone, e si è appoggiato a me»
Perché non racconta la sua vita pure ai lettori del Corriere? Qual è il suo primo ricordo?
«I bombardamenti. Noi che corriamo al rifugio, e nonno Giuseppe che grida: “Pasqualì, purta li pupazz!”, porta i pupazzi!».
Quali pupazzi?
«Ne avevo costruiti tre, con la mollica di pane indurita: Orlando, Rinaldo e Angelica. E improvvisavo piccoli spettacoli per gli altri bambini, che in cambio mi portavano le mandorle o i fichi secchi. I pupazzi si scambiavano minacce terribili: “Ti spezzo la noce del capocollo” nacque allora. Li portavo anche nelle cantine dove cercavamo riparo dalle bombe, per distrarre i più piccoli. Poi li usai per divertire i francesi».
Quali francesi?
«I fratelli di mio padre erano emigrati in Francia, uno si chiamava Altomare come la Madonna dell’Altomare patrona di Andria. Facevano i muratori, ma per le vacanze tornavano da noi in Puglia, con le mogli e i figli francesi: “Pascal, fais le comique”, e io li facevo ridere, “Pascal, fais la femme”, e io mi travestivo da donna. In onore dei francesi papà andò a comprare il burro, che noi non avevamo mai visto».
Suo padre cosa faceva?
«Ortolano. Coltivava cipolle e porri. Si chiamava Riccardo. Lo adoravo, e non sono mai riuscito a dirglielo. Aveva la terza elementare».
E sua madre?
«Non era andata a scuola proprio. Quando doveva firmare le dicevano: Nunzia, fa’ la cruoce. Ma lei rispondeva: “Mi chiamo Nunzia Colia”, e di croci ne faceva due: una per il nome e una per il cognome. Mamma me la sono goduta più a lungo. Quando si ammalò, cercai per lei il miglior chirurgo. Dopo l’intervento il luminare volle incontrarmi, mi portò in uno sgabuzzino, chiuse a chiave. Pensai dovesse darmi notizie gravi».
Invece?
«Si inginocchiò, mi baciò la mano, e disse: “Ho sempre sognato di baciare la mano che ha toccato il culo a Nadia Cassini”. Avevo affidato la vita di mia madre a un pazzo». (…)
È vero che lei votava Msi?
«No, anche se qualcuno mi chiamava Pancetta Nera. Mio padre era un democristiano di centrodestra, e io pure. Ho sempre guardato l’uomo. Mi piace Veltroni e non solo perché si chiama Walter come mio figlio, quando si candidò a sindaco di Roma lo accompagnai nei centri anziani. Mi piaceva Craxi».
Lo conobbe?
«In un ristorante milanese. Stava con Berlusconi, che ci presentò. Lui era presidente del Consiglio, io ero quello che toccava il culo a Nadia Cassini e sbirciava Edwige Fenech dal buco della serratura. Eppure fu gentilissimo, fece il baciamano a mia moglie. Un signore».
I 5 Stelle l’hanno mandata all’Unesco.
«Non i 5 Stelle; Di Maio. Mi propose un gioco: “So tutte le battute di nonno Libero a memoria, interrogami…”. Ora facciamo le riunioni via zoom, sa quella cosa in cui ti vedi dentro una finestrella del computer? Voglio battermi per Canosa, far diventare il ponte sull’Ofanto patrimonio dell’umanità». (…)
Vedo che lei qui in casa ha incorniciato due lettere. Questa è di Federico Fellini.
«Mi chiedeva sempre di raccontargli qualche episodio dell’avanspettacolo, soprattutto delle ballerine…».
Questa invece è di Papa Francesco: «I nonni sanno essere forti nella sofferenza, e tu sei il nonno di una Nazione intera. Raccogli l’eredità di fede e di bontà di Lucia…».
«Me la scrisse quando morì mia moglie. Abbiamo fatto in tempo a festeggiare i sessant’anni di matrimonio».(…)
Perché deve tutto a sua moglie?
«Andammo a Roma sul camion della verdura di mio cugino: devo ancora pagarlo adesso. Era nata Rosanna. Non avevamo una lira, solo debiti coi cravattari. All’asilo mi dicevano: la bambina deve mangiare la carne, se no diventa rachitica. Questa parola — rachitica — mi rigira ancora dentro. Così andai dal senatore Iannuzzi».
Chi?
«Il senatore di Canosa. Mi trovò un posto da fattorino in banca, con la prospettiva di essere promosso usciere. Basta con l’avanspettacolo, da domani si lavora seriamente. Non ci dormii tutta la notte. All’alba Lucia mi disse: “Tu oggi non vai. Non voglio vivere con un uomo infelice. Tu devi fare l’attore. E io sarò sempre al tuo fianco” (Lino Banfi si commuove). Fino all’ultimo giorno l’ho baciata, l’ho chiamata amore, e l’ho amata veramente. Abbiamo anche concordato un segnale, un fischio, per riconoscerci nell’altra vita, tra tante anime».
In questa foto lei bacia pure il Papa…
«Sì, l’ultima volta ci siamo baciati sulla guancia. Mi era già capitato con Wojtyla e con Ratzinger, ma quelli erano baci appena accennati. Stavolta ho sentito davvero la guancia del Papa. Siamo due vecchi coetanei che quando si incontrano si sorridono, come due bambini che hanno combinato una marachella».(…)
Come immagina l’aldilà?
«Spero abbia ragione Dino Verde, l’umorista, che diceva: il Padreterno parla napoletano, lingua universale. San Pietro parla romanaccio. La Madonna invece è veneta: “Comandi…”. Poi c’è uno che racconta barzellette e fa ridere tutti, e quando Dio gli chiede “chi sei?”, risponde: “Sono Antonio, ma voi chiamatemi Totò”».
Bellissima. Ma dico davvero: come immagina l’aldilà?
«Un posto tranquillo e accogliente, perché così Lucia me lo sta preparando».
Lei mi fa ridere e piangere insieme.
«Ci ho messo quasi novant’anni; ma alla fine ce l’ho fatta».
Estratto dell’articolo di Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera