L’ingresso in Avvento coincide anche con il cambio dell’anno liturgico, cioè con il ciclo di letture che, periodicamente, si alternano. Liturgicamente, ciò suggerisce – esige? – un cambio di passo.
Doppia Apocalisse
Il Vangelo di Marco, facendo il controcanto al brano di Isaia 24, ci conduce verso un clima apocalittico. Pur nella similitudine di accenti, tuttavia, possiamo subito rinvenire una distinzione importante, tra i due brani. Il primo, veterotestamentario, è incentrato su Gerusalemme. Su di essa regna il Signore, con l’auspicio che “ad essa affluiranno tutte le genti”1. Non prima, però, di una profezia che prefigura sconvolgimento in tutta la terra, con un lessico che richiama l’incontrollabilità della natura, al cui cospetto l’illusorio potere dell’uomo si arrende e getta la spugna, consapevole della propria impotenza.
L’età apostolica
I cristiani delle origini si attendevano un ritorno glorioso imminente. Non solo la gente più semplice. Anche i “teologi” e i primi successori degli apostoli. A partire da Paolo, fino allo stesso Ireneo († 202), è quasi scontato, per loro, attendersi un ritorno, per così dire, imminente di Cristo. L’hanno visto trafitto ed umiliato, ne hanno celebrato la vittoria sulla morte, nella sua Pasqua di Risurrezione. A questo punto, non gli sembra completa l’opera se non giunge un nuovo ritorno di Cristo: nella gloria, a conclusione del tempo per inaugurare un tempo-senza fine, in Dio.
Conteggi millenaristi
È sulla scia di quest’impazienza, che nasce e si diffonde l’eresia millenarista (detta anche “montanista”,condannata post hoc2, nel concilio di Costantinopoli del 381). Conteggi che si rincorrono, nel tentativo, sulla base delle Scritture, di ricostruire la data e l’ora della “fine del mondo”. Nonostante già Cristo abbia precisato di non poterla sapere neppure lui3.
Apocalissi d’Avvento?
Se pensiamo al Natale, ci suona insolito un richiamo apocalittico. Quant’è distante questa prospettiva dalla visione angelica di un bimbo avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia. Una prospettiva angelica e forse fin troppo zuccherosa del Natale. Perché ogni tempo forte – com’è quello di Avvento – richiede (invoca!), un cambiamento radicale e profondo, sulla scorta, di quanto invoca Dio, per bocca del profeta Ezechiele:
Vi darò un cuore nuovo e metterò dentro di voi uno spirito nuovo; toglierò dalla vostra carne il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Metterò dentro di voi il mio Spirito e vi farò camminare nei miei statuti, e voi osserverete e metterete in pratica i miei decreti. (Ez 36, 26-27)
La cura del creato e la cura del fratello
Al di là del linguaggio apocalittico, che forse disorienta un po’ il lettore contemporaneo, poco avvezzo alla terminologia biblica o alla sensibilità ebraica, il richiamo di sciagure si rivela – in realtà – più propriamente un invito ad agire per il bene. Ciò che non custodiamo, ci sfugge, ci sovrasta.
Come il corso del fiume che, se non è dragato periodicamente, basta una pioggia poco più abbondante dell’usuale per mettere in crisi le nostre certezze, minacciando la serenità di tante famiglie. Come il fratello che ci è posto accanto, nelle persone che incrociano quotidianamente il nostro sguardo. Con S. Paolo, il richiamo è a una gara di stima4: è la stima il primo attestato che attende di essere provato. Nella stima, spesso fraintesa, risiede uno sguardo luminoso su chi mi sta intorno, che non è visto come un rivale del mio ego, ma come un’opportunità di poter imparare dalla varietà dei doni che ciascuno può offrire. (Sulla strada di Emmaus).
1 Cfr. Is 2
2 Rispetto ad Ireneo
3 vd. Mc 13, 32
4 “Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda” (Rm 12,10)
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