Con l’intervento del patriarca di Gerusalemme dei Latini Pierbattista Pizzaballa prende il via la 45esima edizione del Meeting per l’amicizia tra i popoli, la kermesse organizzata dal movimento di Comunione e Liberazione alla Fiera di Rimini. In apertura gli interventi del vescovo di Rimini Nicolò Anselmi e del presidente della Fondazione Meeting Bernhard Scholz.
La guerra
Per la guerra iniziata il 7 ottobre “siamo a un momento decisivo, dirimente, con i dialoghi in corso”, dice il cardinale Pierbattista Pizzaballa. “La guerra finirà, spero che con i negoziati si risolva qualcosa: ho i miei dubbi, ma è l’ultimo treno”, sottolinea. “Si può andare verso il cessate il fuoco, ma anche verso una degenerazione – osserva -. E’ un momento dirimente, per questo dico che è importante pregare, ci resta solo pregare”. “Ma il male che ha prodotto questa guerra, l’odio reciproco, il rancore, il rifiuto dell’esistenza dell’altro resteranno, e ci dovranno impegnare tutti”.
Impatto senza precedenti
“L’impatto che questa guerra avuto su entrambe le popolazione, quella ebrea e quella palestinese, è unico, senza precedenti”, spiega il card. Pizzaballa rispondendo alle domande del presidente del Meeting Bernhard Scholz. “Per Israele quello che è accaduto il 7 ottobre è uno shock incedibile – osserva -. Gli ebrei pensavano che essere in Israele per loro significava essere al sicuro, e invece hanno capito che non erano al sicuro. Anche per i palestinesi la guerra ha portato all’esasperazione sentimenti che già c’erano ma che oggi sono diventati ancora più odio, rancore, volontà di vendetta, sfiducia, profonda incapacità di riconoscere l’uno l’esistenza dell’altro”. “Questo rifiutare l’uno l’esistenza dell’altro – aggiunge – è diventato materia quotidiana, si è diffuso nei media, nei social media, è diventato veramente drammatico”.
Per la futura ricostruzione di un rapporto di fiducia dopo la guerra a Gaza i leader religiosi avranno “un ruolo importante”, ma oggi, proprio in seguito al conflitto, “il dialogo interreligioso è in crisi”, dice Pizzaballa. “I rappresentanti delle religioni fanno fatica a parlarsi, almeno in modo pubblico – spiega -. In questo momento non riusciamo a incontrarci, non riusciamo a parlarci”. Secondo Pizzaballa, “negli anni il dialogo interreligioso ha prodotto documenti importantissimi, e quanto fatto finora è importante, non va buttato via, ma bisognerà lavorare molto, a patto che nel futuro il dialogo sia un po’ meno d’elite e guardi più alle situazione reali”. Inoltre, ha aggiunto, “i leader religiosi hanno responsabilità anche di aiutare la propria comunità”.
Pizzaballa, citando l’espressione di un noto rabbino, ha detto tra gli applausi del pubblico del Meeting che “nessuna religione è un’isola”. “Abbiamo bisogno di relazionarci – ha sottolineato -, e questo accettando l’altro per quello che è. Non imporre se stessi. L’impressione è che siamo tornati a essere un po’ isole, ma bisogna alzare la sguardo, e capire che non siamo isole”.
I momenti difficili
“Nei primi mesi da ottobre ci sono stati momenti difficili per la nostra diocesi. La nostra diocesi copre quattro nazioni diverse: Giordania, Israele, Palestina e Cipro. Israele arabo ma anche Israele ebraico. Avevamo persone a Gaza sotto le bombe israeliane, ma avevamo anche cattolici, cristiani, che facevano servizio militare. Quindi su fronti completamente diversi”. Lo spiega il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme a Rimini. “Questo per dire innanzitutto che il Cristianesimo astratto non esiste, il cristianesimo è sempre incarnato – rileva -. E quindi fare i conti anche con le proprie appartenenze. Il cristiano israeliano è israeliano e il cristiano palestinese è palestinese, in tutto e per tutto”. A detta del patriarca, “curare l’unità non è stato semplice: è chiaro che tu appartieni al tuo popolo, però c’è anche un’appartenenza a Cristo che ti deve aiutare anche ad avere uno sguardo differente. E non è sempre così immediato”. Secondo Pizzaballa, che cita il Vangelo dei Getsemani, “una delle tentazioni è non voler vedere cosa sta accadendo, con una sorta di devozionismo sofisticato, dove ci sono preghiera, liturgia, sacramenti, ma non voglio vedere ciò che accade attorno a me. Ed è una possibile risposta”. “L’altra possibile è di fuggire, andare via – aggiunge -, non voler vedere quello che accade, ma non volerci neanche fare i conti. L’altra è prendere la spada, passare alla lotta. La risposta di Gesù è stata di consegnarsi, che non significa arrenderci, ma donare la vita, cioè affidare la propria vita a Dio. Avere fiducia”.
“Diciamo che, siamo sinceri, nessuno è in attesa che la comunità cristiana faccia qualcosa e risolva i problemi. Politicamente siamo più o meno irrilevanti, se lo posso dire: questo farà arrabbiare qualcuno, ma è così”. “La prima cosa è stare lì, esserci – sottolinea il cardinale -. Non cadere della tentazione di volere per forza avere un ruolo in questa situazione, ma essere capaci di dire una parola. Innanzitutto sostenere la propria comunità e incoraggiare. Ed essere presenti: non possiamo risolvere tutti i problemi però dobbiamo essere presenti”. “Molto spesso succede che quando c’era una crisi e tu eri in una difficoltà la prima domanda che ti fanno è ‘Tu dov’eri?’ La risposta dev’essere: ‘ero lì’. Bisogna esserci”, ha affermato. “Poi – ha proseguito – sostenere e aiutare anche dal punto di vista materiale, là dov’è possibile e come è possibile, non soltanto i propri, ma anche gli altri”. Secondo Pizzaballa, “uno dei motivi, ad esempio, in cui la nostra comunità, la piccola parrocchia di Gaza, poco più di 600 persone ormai rimaste, ancora riesce ad avere un suo dinamismo è che non è ripiegata su se stessa in attesa che finisca la guerra, ma cerca di aiutare, con il nostro supporto, naturalmente, e distribuire degli aiuti, viveri, così via, quindi aiutarsi”. Infine , ha concluso, “serve ‘parresia’: noi non possiamo risolvere i problemi, però possiamo dire una parola di verità, in cui la gente si possa riconoscere, senza però diventare parte di uno scontro. Credo che questo sia un ruolo che la Chiesa può portare”.
“E’ un dramma l’antisemitismo. Un conto è criticare la politica di un governo, che può essere legittimo. Un conto dire ‘non puoi essere ebreo’: questo è inaccettabile. E dev’essere condannato”, continua Pizzaballa.. “Anche qui sono narrative escludenti: pro-Palestina, pro-Israele. Uno esclude l’altro e così via”, sottolinea il porporato. “Per cui bisogna, e anche qui la responsabilità dei religiosi è importante, anche se l’antisemitismo attuale ha un’impronta più politica che religiosa, evitare di diventare strumentali a questo – afferma Pizzaballa -. E creare questa cultura di relazioni, di accoglienza l’uno nei confronti dell’altro, dove nessuno è escluso”. E secondo il patriarca, “l’antisemitismo è un po’ una cartina al tornasole per capire anche quali sono i modelli su cui la società si mantiene, si costruisce. Quando tu dici, ‘tu perché sei ebreo’, ‘tu perché sei musulmano’, anche, l’islamofobia dall’altro lato, o altrove ‘perché sei cristiano, non hai diritti, devi essere escluso’ eccetera, è un momento di grande decadenza della civiltà”. “La civiltà si costruisce ‘con’, non ‘contro'”, conclude.