“In Italia, secondo l’Istat, vivono in uno stato di povertà assoluta un milione e 600 mila stranieri residenti, per un totale di oltre 614 mila nuclei familiari. Le famiglie immigrate in povertà costituiscono circa un terzo delle famiglie povere presenti in Italia, pur rappresentando solo il 9% di quelle residenti. La percentuale di chi non ha accesso a un livello di vita dignitoso risulta essere tra gli stranieri cinque volte superiore di quella registrata tra i nuclei di italiani”. Lo afferma il XXXII Rapporto Immigrazione 2023 Caritas-Migrantes, diffuso oggi dal titolo “Liberi di scegliere se migrare o restare”. “Tale svantaggio – si legge nel Rapporto -, rafforzatosi a partire dal 2008 (anno della grave crisi economico-finanziaria), ha oggi raggiunto livelli ancora più preoccupanti e strutturali a seguito della pandemia da Covid19. Da un anno all’altro peggiora in modo preoccupante la condizione dei disoccupati: tra loro risulta povera quasi una persona su due; solo un anno fa toccava circa una persona su quattro”. “Accanto poi alle fragilità – si legge ancora -, in qualche modo prevedibili, di chi è senza un impiego, si aggiungono quelle di chi un lavoro lo possiede: il fenomeno della in-work poverty, ormai noto nel nostro Paese, ha registrato una forte recrudescenza negli ultimi anni, tra stranieri e non.
Le stime
Secondo le ultime stime Istat, il 7% degli occupati in Italia vive in una condizione di povertà assoluta, percentuale che sale al 13,3% tra i lavoratori meno qualificati, come gli operai o assimilati; e se a svolgere tali occupazioni sono persone di cittadinanza straniera il dato schizza al 31,1% (tra gli italiani è al 7,9%)”. “Un ultimo elemento di criticità – aggiunge il Dossier – è infine quello legato ai minori: si contano 1 milione 400 mila bambini poveri e un indigente su quattro è un minore. Se si considerano le famiglie di stranieri con minorenni i dati appaiono davvero drammatici: tra loro l’incidenza della povertà raggiunge il 36,2%, più di 4 volte la media delle famiglie italiane con minori (8,3%). L’analisi dei bisogni complessivi, raccolti da volontari e operatori (nel 2022 le persone straniere incontrate nei soli Centri di Ascolto e servizi informatizzati Caritas sono state 145.292, su un totale di 255.957 individui), conferma per il 2022 una prevalenza delle difficoltà di ordine materiale, in linea con gli anni precedenti”.
Crisi natalità anche tra stranieri
“Al primo gennaio 2023 le stime dell’Istat indicano la presenza di 5.050.257 cittadini stranieri residenti in Italia, in lieve aumento rispetto ai dati definitivi riferiti all’anno precedente (5.030.716). Quanto alla distribuzione territoriale, continua a prevalere l’inserimento nel Nord Italia (59,1% dei residenti totali): nelle regioni occidentali risiede il 34,3% e in quelle orientali il 24,8%; seguono Centro (24,5%), Sud (11,7%) e Isole (4,6%). La Lombardia si conferma la regione più attrattiva: da sola conta il 23,1% della popolazione straniera residente in Italia; in seconda posizione si trova il Lazio (12,2%) e, di seguito, l’Emilia-Romagna (10,9%), il Veneto (9,8%) e il Piemonte (8,2%)”, si legge ancora nel XXXII Rapporto Immigrazione 2023 Caritas Italiana e Fondazione Migrantes. “Dopo i picchi di crescita registrati nel primo decennio del 2000 (+45,2% fra il 2003 e il 2004, +22,3% fra il 1999 e il 2000) – mette però in guardia il Rapporto – è ormai da un decennio che il numero di nuovi nati stranieri diminuisce costantemente e sempre più (-5% negli ultimi due anni). Il maggior numero di nuovi nati è romeno (19,4%), seguito da marocchini (13,3%) e albanesi (11,8%)” . “Le acquisizioni di cittadinanza, pur avendo raggiunto la soglia del milione negli ultimi 6 anni – continua -, sono in progressiva diminuzione, e solo fra il 2020 e il 2021 sono scese del 7,5%. Un’acquisizione su cinque è appannaggio dell’Albania, seguita dal Marocco. Significativa è la terza posizione occupata dal Bangladesh, che assomma il 4,7% delle acquisizioni totali, o la quarta e la quinta, in cui troviamo rispettivamente l’India e il Pakistan: segno di nuove tendenze, spesso sottovalutate”.
Disuguaglianze per salute madri straniere
“Su 6.687.015 dimissioni registrate nel 2021, 6.252.763 sono relative a cittadini italiani e 426.740 a cittadini non italiani, pari al 6,4% del totale. La quota più significativa dei ricoveri ha come diagnosi principale le complicazioni della gravidanza, parto e puerperio (25,6%); seguono, a significativa distanza, le malattiedell’apparato respiratorio (8,7%)”. “Considerando l’età della madre, – si legge nel Dossier – si evidenzia anche per le straniere la prevalenza di madri di 30 anni e più, anche se nel complesso le madri straniere sono tendenzialmente più giovani (29,2 anni è l’età media delle donne straniere al primo figlio, contro i 32,1 anni per le italiane). Se permane una differenza significativa nel numero medio di figli per donna (nel 2021 il tasso di fecondità delle italiane era pari a 1,18 e quello delle straniere residenti in Italia a 1,87), più in generale è il modello di fecondità delle straniere che appare adattarsi progressivamente al contesto italiano, che da molti punti di vista non facilita la natalità”. “Il tasso di abortività delle donne straniere – continua – mostra una tendenza alla diminuzione, essendo passato dal 17,2 per 1.000 donne nel 2014 al 12,0 per 1.000 donne nel 2020. Si tratta tuttavia di un tasso di 2,4 volte superiore a quello delle italiane. Sul fronte sanitario, il contributo dei cittadini stranieri residenti in Italia dice di 77.500 professionisti sanitari di origine straniera nel 2022, di cui il 65% sprovvisto della cittadinanza italiana. Di questi, 22 mila sono medici, oltretutto per la maggioranza laureati in Italia, e 38 mila sono infermieri, cui si aggiungono odontoiatri, fisioterapisti, psicologi e farmacisti. Pur operando dovunque, non possono partecipare ai concorsi per l’inserimento nel Ssn: non a caso, negli ultimi 6 anni circa il 30% dei professionisti stranieri è tornato nel Paese di origine, in particolare nei Paesi dell’Est Europa e nei Paesi arabi”.
Cristiani migranti forzati dal Medio Oriente
“È possibile stimare come i cristiani, nel loro complesso, rafforzino la propria posizione di maggioranza assoluta tra gli stranieri residenti sul territorio nazionale al primo gennaio 2023, con una prevalenza del 53,5%, a fronte del valore del 53,0% stimato al primo gennaio dell’anno scorso. Ancora una volta tale crescita è da attribuire ampiamente alla componente ortodossa, che da sola a inizio 2023 rappresenta il 29,9% del fenomeno migratorio in Italia (era il nel 28,9% ad inizio 2022). Al contrario, la componente cattolica scende al 16,8% d’incidenza ad inizio 2023, contro il 17,2% del primo gennaio 2022”. Lo afferma il XXXII Rapporto Immigrazione 2023 Caritas-Migrantes, diffuso oggi dal titolo, “Liberi di scegliere se migrare o restare”. “Tra le altre confessioni religiose – si legge -, aumentano d’incidenza i musulmani, che rappresentano il 29,8% al primo gennaio 2023, a fronte del 29,5% dell’inizio dell’anno scorso. Conteggiando, come ogni anno, l’appartenenza religiosa anche dei minorenni di qualsiasi età che si ipotizza distribuita con le medesime proporzioni di quella stimata per i maggiorenni della medesima nazionalità, a livello assoluto al primo gennaio 2023 si contano poco più di un milione e mezzo di ortodossi stranieri in Italia e poco meno della medesima cifra di musulmani, seguiti da circa 844mila cattolici, in terza posizione. Più distanti a livello quantitativo si collocano tutte le altre appartenenze religiose: 156mila buddisti, 136mila evangelici, 126mila cristiani “altri” (non ortodossi né cattolici né evangelici né copti), 104mila induisti, 85mila sikh, 81mila copti e 20mila fedeli di altre religioni, oltre a 478mila atei o agnostici, che in realtà rappresenterebbero il quarto gruppo più numeroso secondo questa classificazione”. “Le guerre, le violenze e le persecuzioni in Medio Oriente – si legge poi – sono state le ragioni principali di un esodo che ha visto centinaia di migliaia di cristiani in fuga dalla propria terra d’origine. A partire dal 2003, i cambiamenti politici e il diffondersi di progetti religiosi estremisti hanno reso molto critiche le relazioni tra musulmani e cristiani in Medio Oriente e hanno portato a un’esposizione pericolosa dei cristiani e di altri gruppi minoritari”.
Su stranieri comunicazione allarmistica
“A 10 anni dalla tragedia di Lampedusa molto è cambiato nel racconto della mobilità in Italia. Sulla spiaggia di Steccato di Cutro, alla sabbia e ai relitti si mescolano una minore empatia e una maggiore indifferenza. L’informazione italiana dà rilevanza ad entrambi i casi, ma in modo differente per intensità e durata: 61 notizie il 3 ottobre 2013, con una trattazione che si protrae per almeno 3 mesi; 37 notizie il 27 febbraio 2023, con una copertura di poco più di 2 mesi”. “Le differenze, però, non si limitano al piano quantitativo – si legge ancora – , ma coinvolgono in profondità anche i contenuti della comunicazione. Se a Lampedusa prevale una cornice umana e umanitaria, la cornice sui fatti di Cutro si può definire in prevalenza securitaria, per giunta inserita nella più ampia dialettica sugli arrivi via mare, sui rischi della traversata e sulle addotte responsabilità politiche e nei soccorsi. I frame principali sono quelli della sicurezza e del diritto internazionale. Se, anche in conseguenze della guerra in Ucraina, aumentano le “voci” delle persone migranti nell’informazione italiana – continua il Dossier – , non a tutte è offerta pari opportunità di esprimersi. Nel complesso, il confronto tra lo stile dell’informazione sulle vicende di Lampedusa e di Cutro mostra come il clima sociale e politico in Italia sia cambiato negli ultimi dieci anni e quanto l’attenzione dei media al tema dell’immigrazione in Italia sia sempre più orientata all’allarmismo”.