Il prossimo 24 maggio (questa è la data fissata nel’agenda vaticana) PapaLeone XIV potrebbe scegliere un luogo ricco di simbolismo per il suo primo viaggio apostolico: İznik, in Turchia, l’antica Nicea. Proprio lì, esattamente 1700 anni fa, si apriva il primo Concilio ecumenico della storia, che diede alla cristianità la sua prima grande professione di fede: il Credo niceno. Il viaggio del Pontefice sarebbe carico di significato teologico, ecumenico e storico, inserendosi in un contesto giubilare incentrato su “Cristo nostra speranza”, e riprendendo idealmente il cammino di unità già tracciato da Papa Francesco con i suoi frequenti appelli al dialogo tra le Chiese.
Il 20 maggio dell’anno 325 nella di Nicea nell’Asia Minore, affacciata sul lago Ascanio, si apriva il primo Concilio ecumenico della storia cristiana. Convocato dall’imperatore romano Costantino, appena convertito al cristianesimo, fu un evento senza precedenti: per la prima volta i vescovi della Chiesa si riunivano da tutto l’impero per affrontare insieme una crisi teologica e definire ufficialmente il contenuto della fede. Costantino aveva un obiettivo politico e spirituale insieme: porre fine alle divisioni dottrinali che rischiavano di lacerare l’unità del’impero e della nascente Chiesa. Il principale nodo era la dottrina di Ario, presbitero di Alessandria, secondo cui Gesù Cristo, pur Figlio di Dio, non era eterno né della stessa sostanza del Padre, ma creato. Una visione che negava la piena divinità del Figlio e che trovava consenso in ampie aree dell’Oriente cristiano.
Al Concilio parteciparono tra i 220 e i 318 vescovi, la maggior parte provenienti dalle regioni orientali dell’impero. La discussione fu intensa e appassionata. Alla fine, la dottrina ariana fu condannata come eresia, e il concilio proclamò che il Figlio è “generato, non creato, della stessa sostanza del Padre” – in greco, “homoousios” – sancendo così la piena divinità di Gesù Cristo. Il risultato fu il Simbolo Niceno, il Credo, che ancora oggi viene recitato nelle liturgie cattoliche, ortodosse e in molte protestanti. Integrato e completato nel Concilio di Costantinopoli del 381, esso rappresenta la più antica e condivisa professione di fede cristiana.
Oltre alla questione cristologica, il Concilio affrontò anche altri aspetti disciplinari e liturgici. Tra le decisioni più importanti, stabilì che la data della Pasqua dovesse essere celebrata secondo il calendario alessandrino-romano, dopo l’equinozio di primavera, ponendo così le basi per un’unica data della festa più importante del cristianesimo. Venne inoltre ribadita la centralità del vescovo di Roma, di Alessandria e di Antiochia, anticipando la futura gerarchia ecclesiastica.
Il Concilio di Nicea fu il primo vero momento di unità visibile della Chiesa universale. Nonostante le divisioni successive, specialmente lo scisma tra Oriente e Occidente, la fede definita a Nicea rimane un punto di riferimento comune per tutto il cristianesimo. Il Concilio segnò anche l’inizio del coinvolgimento dell’autorità imperiale negli affari ecclesiastici, un modello che influenzerà profondamente la storia europea e la relazione tra Chiesa e Stato.
L’anniversario del Concilio di Nicea si celebra in un tempo segnato da conflitti, frammentazioni e sfide globali. Come già affermava Papa Francesco nel gennaio 2024, “l’essenziale per i cristiani, la cosa più bella e a un tempo la più necessaria, è proprio la fede in Gesù Cristo proclamata a Nicea: è questo il compito fondamentale della Chiesa“. In questa luce, la Commissione Teologica Internazionale, con un documento reso noto dalla Santa Sede lo scorso 3 aprile, sottolinea che il Credo niceno “custodisce e rilancia straordinarie risorse nella prospettiva della nuova tappa dell’evangelizzazione”. L’atto stesso di tornare a Nicea, dove per la prima volta la Chiesa si espresse in modo universale, ecumenico e sinodale, acquista oggi una portata profetica.
Il documento della Commissione Teologica lo evidenzia chiaramente: “A Nicea, per la prima volta, l’unità e la missione della Chiesa si sono espresse in modo emblematico a livello universale nella forma sinodale di quel camminare insieme che le è propria”.
La presenza del Papa a İznik potrebbe quindi rappresentare un gesto di continuità con il cammino ecumenico intrapreso con forza da Francesco, e una dichiarazione di intenti: ribadire che la fede cristiana si fonda sulla Trinità, sull’Incarnazione, e sulla comunione fraterna. L’incontro con il patriarca Bartolomeo di Costantinopoli, già previsto sotto il pontificato precedente, confermerebbe inoltre la volontà di proseguire nel dialogo con la Chiesa Ortodossa.
Nel documento, la Commissione Teologica richiama il Vangelo di Giovanni: “Padre, che tutti siano uno, come io e te siamo uno” (Giovanni 17,22), come fondamento della comunione tra i cristiani. E sottolinea come la verità proclamata a Nicea – “un Dio che, essendo amore, è Trinità e che nel Figlio si fa per amore uno di noi” – sia oggi principio autentico di fraternità e di speranza per la storia umana. Il documento della Commissione non si limita alla ricostruzione storica: invita tutta la Chiesa a considerare l’eredità di Nicea come una risorsa spirituale, culturale e missionaria, capace di orientare il cammino della Chiesa nel mondo contemporaneo. In particolare, sottolinea l’urgenza di riscoprire la fede nel Figlio di Dio come chiave di interpretazione del presente e fondamento di una nuova cultura dell’incontro. (Adnkronos).