Ad inizio settimana, l’Ucraina ha compiuto tre anni di resistenza all’invasione russa. Secondo i dati delle Nazioni Unite, più di 12.600 civili sono morti nel conflitto, tra cui più di 2.400 bambini. Inoltre, più del 10% delle case sono state danneggiate o distrutte, causando più di due milioni di famiglie sfollate.
Mentre il conflitto si intensifica, l’incertezza sul futuro continua a segnare la vita degli ucraini. In questo contesto, il Nunzio Apostolico in Ucraina, Mons. Visvalda Kulbokas, sottolinea che, nonostante il dolore e la devastazione, la speranza rimane l’unico rifugio per coloro che soffrono la guerra.
Dalla Nunziatura Apostolica a Kiev, descrive un paese segnato dalla sofferenza. “Questo fine settimana, in occasione del terzo anniversario della guerra, abbiamo molte visite e eventi. Per noi, tuttavia, non è una data importante, perché ogni giorno è un giorno di guerra”, sottolinea.
La normalizzazione del conflitto ha portato gli ucraini ad adattarsi psicologicamente alla violenza. “Ricordo le prime settimane del 2022, quando i vescovi parlavano con drammaticità, senza sapere se sarebbero vissuti il giorno dopo. Ora abbiamo più pace psicologica con cui vivere, anche se la guerra è più intensa e drammatica che all’inizio”, spiega.
Tuttavia, la vita quotidiana è ancora agghiacciante. “Non ricordo più l’ultima notte senza un attacco di droni. I bombardamenti missilistici sono più sporadici, ma gli attacchi con i droni si verificano quotidianamente”, si rammarica.
Ricorda, ad esempio, la testimonianza di Ludmila, una donna di 60 anni che ha trascorso quasi tre anni in una prigione russa. “Per settimane è stata torturata senza lasciarlo dormire, al punto da non distinguere la verità dalla menzogna. Ha finito per firmare documenti senza sapere cosa stava facendo”, racconta.
La mancanza di meccanismi per il rilascio dei civili aggrava ulteriormente la crisi. “Per i militari esiste un sistema di scambio, ma per i civili no. La sua situazione è molto più disperata”, avverte.
In questi tre anni di guerra, assicura Mons. Kulbokas, Papa Francesco è riuscito a stabilire una sorta di meccanismo per negoziare il ritorno in Ucraina di molti bambini deportati in Russia dalle forze di occupazione.

Il presidente dei vescovi italiani, il cardinale Matteo Zuppi, inviato di Papa Francesco per lavorare per la pace in Ucraina, ha avuto un ruolo fondamentale in questa missione, come rivela ad ACI Prensa.
“Il cardinale Matteo Zuppi, inviato di Papa Francesco, mantiene i contatti con le autorità ucraine e russe per affrontare la questione dei bambini deportati e dei prigionieri. Il processo è lento, poiché a volte ci vogliono mesi per ottenere informazioni sui minori”, spiega Mons. Kulbokas.
Tuttavia, con i civili detenuti, gli sforzi si sono scontriti in un ostacolo fondamentale: “La Russia considera molti di loro cittadini russi, il che rende difficile l’applicazione di strutture internazionali per la loro liberazione. L’unico modo è la persuasione, il dialogo con le autorità russe per dimostrare che queste persone sono civili e devono essere rilasciate”.
Il ruolo della comunità internazionale e il futuro della guerra
Mons. Kulbokas critica senza mezzi termini l’inefficacia della comunità internazionale nel trovare una soluzione al conflitto. “Non ci sono strutture internazionali in grado di risolvere la guerra. All’inizio, l’Europa poteva pensare che questo conflitto non fosse un suo problema, ma quando le guerre non vengono prese sul serio, il conflitto cresce. Se le guerre non si fermano dall’inizio, dopo è troppo tardi”.

Nonostante la crudezza del conflitto, il nunzio apostolico mantiene la speranza in una soluzione diplomatica. “Affinche siano le condizioni che mettono sul tavolo una trattativa seria, è necessario che non siano solo uno o due attori mondiali a decidere. La pace in Ucraina deve essere una questione di tutta la comunità internazionale. Se lasciamo che solo i grandi del mondo decidano, non ho dubbi che la soluzione non sarà giusta”, afferma.
Nel frattempo, l’Ucraina affronta una crescente incertezza sul sostegno degli Stati Uniti, il paese che l’ha sostenuta di più in questi anni. L’amministrazione di Donald Trump ha intensificato la sua retorica contro il presidente ucraino Volodimir Zelensky con minacce e decisioni che sembrano essere dirette verso un accordo con il Cremlino per porre fine al conflitto.
Il diplomatico vaticano evita di entrare in polemiche sulle dichiarazioni di Trump, che ha persino ritenuto l’Ucraina responsabile della guerra. “I fedeli cattolici in Ucraina sentono di non potersi fidare dei politici, perché dicono una cosa un giorno e un’altra il giorno dopo. Quello che si aspettano dalla Chiesa è una chiara posizione morale: che l’aggressione non sia giustificata e che la vita sia difesa”, sottolinea.
A questo proposito, Mons. Kulbokas insiste che la missione della Chiesa è un’altra: “L’importante è proclamare il Vangelo, che è vita, pace, rispetto e giustizia”.
Nonostante l’incertezza e il dolore, il diplomatico del Vaticano ribadisce che la mediazione internazionale è l’unica soluzione. “Se lasciamo che solo i grandi decidano, la soluzione non sarà giusta. L’unica speranza è che la comunità internazionale si unisca per porre fine a questa e ad altre guerre”, conclude. (ACI Prensa).