Il Papa mette in guardia da “un morbo pericoloso” quello dello “scetticismo democratico”. “Democrazia – scrive nell’introduzione al libro che sarà distribuito domani, in occasione della sua visita a Trieste a conclusione delle Settimane Sociali della Cei – lo sappiamo bene, è un termine nato nell’antica Grecia per indicare il potere esercitato dal popolo attraverso i suoi rappresentanti. Una forma di governo che, se da un lato si è diffusa in modo globale negli ultimi decenni, dall’altro pare soffrire le conseguenze di un morbo pericoloso, quello dello ‘scetticismo democratico’”.
IL TESTO DI PAPA FRANCESCO
Mi rallegro nel rivolgere queste parole per introdurre questo testo che il quotidiano Il Piccolo e Libreria Editrice Vaticana offrono ai lettori in concomitanza con la mia visita a Trieste in occasione delle Settimane sociali.
La mia presenza a Trieste, città dal forte sapore mitteleuropeo per la sua compresenza di culture, religioni ed etnie diverse, avviene in concomitanza con l’evento che la Conferenza episcopale italiana organizza in questa città, le Settimane sociali dei cattolici in Italia, dedicate quest’anno al tema «Al cuore della democrazia. Partecipare tra storia e futuro».
Democrazia, lo sappiamo bene, è un termine nato nell’antica Grecia per indicare il potere esercitato dal popolo attraverso i suoi rappresentanti. Una forma di governo che, se da un lato si è diffusa in modo globale negli ultimi decenni, dall’altro pare soffrire le conseguenze di un morbo pericoloso, quello dello “scetticismo democratico”. La difficoltà delle democrazie nel farsi carico della complessità del tempo presente – pensiamo alle problematiche legate alla mancanza di lavoro o allo strapotere del paradigma tecnocratico – sembra talvolta cedere il passo al fascino del populismo. La democrazia ha insito un valore grande e indubitabile: quello dell’essere “insieme”, del fatto che l’esercizio del governo avviene nell’ambito di una comunità che si confronta, liberamente e laicamente, nell’arte del bene comune, che non è altro che un diverso nome di ciò che chiamiamo politica.
“Insieme” è sinonimo di “partecipazione”. Già don Lorenzo Milani e i suoi ragazzi lo sottolineavano nella magistrale Lettera a una professoressa: «Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne insieme è la politica, sortirne da soli è l’avarizia». Sì, i problemi che abbiamo davanti sono di tutti e riguardano tutti. La via democratica è quella di discuterne insieme e sapere che solo insieme tali problemi possono trovare una soluzione. Perché in una comunità come quella umana non ci si salva da soli. E nemmeno vale l’assioma del mors tua vita mea. Anzi. Perfino la microbiologia ci suggerisce che l’umano è strutturalmente aperto alla dimensione dell’alterità e dell’incontro con un «tu» che ci sta davanti. Lo stesso Giuseppe Toniolo, ispiratore e fondatore delle Settimane sociali, era uno studioso di economia il quale aveva compreso molto bene i limiti dell’homo oeconomicus, ovvero di quella visione antropologica basata sull’«utilitarismo materialistico», come lui lo definiva, che atomizza la persona, amputandone la dimensione relazionale.
Ecco, vorrei dire così, pensando oggi a cosa significhi il “cuore” della democrazia: insieme è meglio perché da soli è peggio. Insieme è bello perché da soli è triste. Insieme significa che uno più uno non fa due, ma tre, perché la partecipazione e la cooperazione creano quello che gli economisti chiamano valore aggiunto, ovvero quel positivo e quasi concreto senso di solidarietà che nasce dal condividere e portare avanti, ad esempio nell’agone pubblico, questioni sulle quali trovare una convergenza.
In fin dei conti, è proprio nella parola “partecipare” che troviamo il senso autentico di cosa sia la democrazia, di cosa significa andare al cuore di un sistema democratico. In un regime statalista oppure dirigista nessuno partecipa, tutti assistono, passivi. La democrazia invece richiede partecipazione, domanda di metterci del proprio, di rischiare il confronto, di far entrare nella questione i propri ideali, le proprie ragioni. Di rischiare. Ma il rischio è il terreno fecondo su cui germoglia la libertà. Mentre invece balconear, stare alla finestra di fronte a quanto accade intorno a noi, non solo non è eticamente accettabile ma anche, egoisticamente, non è né saggio né conveniente.
Sono tante le questioni sociali sulle quali, democraticamente, siamo chiamati a interagire: pensiamo ad un’accoglienza intelligente e creativa, che coopera e integra, delle persone migranti, fenomeno che Trieste conosce bene in quanto vicino alla cosiddetta rotta balcanica; pensiamo all’inverno demografico, che colpisce ormai in maniera pervasiva tutta l’Italia, e in particolare alcune regioni; pensiamo alla scelta di autentiche politiche per la pace, che mettano al primo posto l’arte della negoziazione e non la scelta del riarmo. In sintesi, quel prenderci cura degli altri che Gesù continuamente ci indica nel Vangelo come l’autentico atteggiamento nell’essere persone.
Da Trieste, città affacciata sul Mar Mediterraneo, crogiuolo di culture, di religioni e di popoli diversi, metafora di quella fratellanza umana cui aspiriamo in questi tempi oscurati dalla guerra, possa scaturire un impegno più convinto per una vita democratica pienamente partecipata e finalizzata al vero bene comune. (Vatican Media).