Bagno di folla in auto scoperta per il Papa prima dell’udienza generale in piazza San Pietro. Il Pontefice ha salutato e benedetto fedeli e pellegrini come di consueto e ha accarezzato i bambini che gli sono stati portati dai gendarmi.
l’udienza generale
Bisogna essere responsabili del proprio futuro. Lo ha detto il Papa nell’udienza generale, proseguendo le catechesi sulla speranza, tema del Giubileo. “Si tratta di camminare, prendendosi la responsabilità di scegliere quale strada percorrere. E questo grazie a Gesù! Carissimi fratelli e sorelle, chiediamo al Signore il dono di capire dove la nostra vita si è bloccata.
Proviamo a dare voce al nostro desiderio di guarire. E preghiamo per tutti coloro che si sentono paralizzati, che non vedono vie d’uscita”, ha detto Leone XIV invitando a “pensare alle situazioni in cui ci sentiamo bloccati e chiusi in vicolo cieco. A volte ci sembra infatti che sia inutile continuare a sperare; diventiamo rassegnati e non abbiamo più voglia di lottare”.
Il testo completo della catechesi di Leone XIV
Cari fratelli e sorelle, continuiamo a contemplare Gesù che guarisce. Oggi vorrei invitarvi in modo particolare a pensare alle situazioni in cui ci sentiamo “bloccati” e chiusi in un vicolo cieco. A volte infatti ci sembra inutile continuare ad aspettare; ci rassegnamo e non abbiamo più voglia di lottare.
Questa situazione è descritta nei Vangeli con l’immagine della paralisi. Per questo motivo vorrei soffermarmi oggi sulla guarigione di un paralitico, narrata nel quinto capitolo del Vangelo di Giovanni (5,1-9).
Gesù va a Gerusalemme per una festa degli ebrei. Non va direttamente al Tempio; si ferma davanti a una porta, dove sicuramente si lavavano le pecore che poi venivano offerte in sacrificio. Vicino a questa porta, c’erano anche tanti malati, che, a differenza delle pecore, erano esclusi dal Tempio perché erano considerati impuri! È allora Gesù stesso che li raggiunge nel loro dolore. Queste persone speravano in un prodigio che potesse cambiare il loro destino; infatti, accanto alla porta c’era una piscina, le cui acque erano considerate taumaturgiche, cioè in grado di guarire: ad un certo punto quando l’acqua si agitava, secondo la convinzione del tempo, chi si tuffava per primo, guariva.
In questo modo si è creata una sorta di “guerra dei poveri”: possiamo immaginare la triste scena di questi malati che si trascinavano con la fatica per cercare di entrare in piscina. Quella piscina si chiamava Betesda, che significa “casa della misericordia”: potrebbe essere un’immagine della Chiesa, dove i malati e i poveri si riuniscono e dove il Signore arriva per guarire e dare speranza.
Gesù si rivolge specificamente a un uomo che è paralizzato da trentotto anni. È già rassegnato, perché non riesce a immergersi nella piscina quando l’acqua si agita (cfr v. 7) In effetti, ciò che spesso ci paralizza è proprio la delusione. Ci sentiamo scoraggiati e corriamo il rischio di cadere nella negliganza.
Gesù rivolge a questo paralitico una domanda che può sembrare superficiale: «Vuoi guarirti?» (V. 6) D’altra parte, è una domanda necessaria, perché, quando si è bloccati per così tanti anni, può anche mancare la volontà di guarire. A volte preferiamo rimanere in condizioni di malati, costringendo gli altri a prendersi cura di noi. A volte è anche un pretesto per non decidere cosa fare della nostra vita. Gesù invece riconduce quest’uomo al suo desiderio veritiero e profondo.
Quest’uomo infatti risponde in modo più articolato alla domanda di Gesù, rivelando la sua visione della vita. Prima di tutto, dice che non ha avuto nessuno che lo immerga in piscina: quindi non è colpa sua, ma degli altri che non si preoccupano di lui. Questo atteggiamento diventa il pretesto per evitare di assumersi le proprie responsabilità. Ma è vero che non c’era nessuno che lo aiutasse? Ecco la risposta illuminante di Sant’Agostino: «Sì, per essere guarito avevo assolutamente bisogno di un uomo, ma di un uomo che fosse anche Dio. […] È quindi venuto l’uomo che era necessario; perché rimandare di nuovo la guarigione?».[ 1]
Il paralitico aggiunge che quando cerca di immergersi in piscina c’è sempre qualcuno che arriva prima di lui. Quest’uomo sta esprimendo una visione fatalista della vita. Pensiamo che le cose ci accadano perché non siamo fortunati, perché il destino ci è avverso. Quest’uomo è scoraggiato. Si sente sconfitto nella lotta della vita.
Gesù invece lo aiuta a scoprire che anche la sua vita è nelle sue mani. Lo invita ad alzarsi, a rialzarsi dalla sua situazione cronica, e a prendere la sua barella (cfr v. 8). Quel lettino non si lascia o si butta: rappresenta il suo passato di malattia, è la sua storia. Fino a quel momento il passato lo ha bloccato; lo ha costretto a giacciare come un morto. Ora è lui che può portare quella barella e portarla dove vuole: può decidere cosa fare della sua storia! Si tratta di camminare, assumendosi la responsabilità di scegliere quale strada percorrere. E questo grazie a Gesù!
Cari fratelli e sorelle, chiediamo al Signore il dono di capire dove si è bloccata la nostra vita. Diamo voce al nostro desiderio di guarire. E prechiamo per tutti coloro che si sentono paralizzati, che non vedono una via d’uscita. Prediamo di tornare a vivere nel Cuore di Cristo che è la vera casa della misericordia!
L’appello contro la guerra
“Il cuore della Chiesa è straziato per le grida che si levano dai luoghi di guerra – ha concluso Leone XIV – In particolare dall’Ucraina, dall’Iran, da Israele, da Gaza. Non dobbiamo abituarci alla guerra.In nome della dignità umana e del diritto internazionale, ripeto ai responsabili ciò che soleva dire Papa Francesco: la guerra è sempre una sconfitta”.