Bruciare per Dio
Come assai correttamente scrive Alberto Sana nella sua introduzione (Per via di perfezione) a Scala di perfezione, è alquanto probabile che il testo ispiratore per quello di Fra Tommaso sia stato Arte de la unione del cappuccino Giovanni Pili da Fano il quale, a sua volta, riprendeva tradizionali vie all’ascesi che tutte rimandano a san Bonaventura e al suo Itinerarium mentis in Deum e, ancora più lontano, come sempre osserva Sana, alla filosofia platonica e alla mistica islamica.
Resta indubbio che un titolo come quello del capitolo 7 di Scala di perfezione – «[Nissuno può arrivar a questa cima della scala se non è passato per li gradi più bassi]» (Scala, 174) –, insieme a un che di lapalissiano, fissa in termini inequivocabili la discendenza del pensiero del beato Tommaso da quello del Doctor Seraphicus. Del resto, il primo paragrafo di tale capitolo è estremamente esplicito.
Io dubito che non sarò inteso, ma ben certo so che sarò inteso da’ veri innamorati di Dio. E non pensi uomo né donna di mai salire tant’alto quanto è questo amore di Dio se prima non intenderanno quel principio di questo mio trattato, passando prima per la vita purgativa e attiva, aspirativa e illuminativa, per l’unitiva, per l’orazione e contemplazione e presenza di Dio; e salendo questa scalla con pazienza, toleranza e perseveranza, arriverai alla cima d’essa scala, cioè dell’amore puro, cordiale e filiale; e nella cima d’esso amore troverai il tuo innamorato Dio, e l’anima tua s’unirà con quel Dio che è tutto amore, il qual ti darà il basso dell’amar suo. (Scala, 174)
Le tre stazioni
È appena il caso di comparare le tre stazioni della «vita purgativa e attiva», della «unitiva, per l’orazione e contemplazione e presenza di Dio» e della «cima d’essa scala, cioè dell’amore puro, cordiale e filiale» con il Liber Naturae, il Liber Scripturae e il Liber Vitae di san Bonaventura. E la necessità di accettare umilmente un lungo percorso di avvicinamento è ripetuto più volte, anche a distanza di centinaia di pagine.
Né già mai pensi alcuno di salire a tanta altezza quanto è l’amore unitivo con Dio se prima non farai questo fondamento che ora ti dico; e puochi si ritrovano che attendino a questa prattica certa, veridica, palpabile, della croce, della imitazione di Cristo. Né altra via si trova di farsi santi in un atimo, ma si concede a pochissimi: e vole Dio che si passi per li mezi sì come di sopra ti ho accenato. E bisogna, o anima, che cominci a caminar se vòi salire il gran monte della perfezione: cioè cominciar a’ piedi del monte a salire con fatica, stenti, sudori a salir l’alto monte, perché, con l’agiuto di Dio, arriverai alla somità, ove puotrai poi godere insieme con li santi e sante in quela amena felicità eterna, ove non sarà fatica né stenti né sudori, ma da la vista del tuo Dio sarai in eterno glorioso. (Scala, 352)
Per Fra Tommaso sono quattro i «gradi o stati della perfezione: purgativo, illuminativo, affettivo, aspirativo», come intitola il proprio capitolo 26 (Scala, 235). Egli non disdegna l’uso iniziale della ragione, come vedremo in altro luogo, ma, sulla scia di san Bonaventura, pur non sottovalutando, come vedremo, l’utilità della ragione nelle fasi preliminari dell’ascesa, egli vede nella trascendenza dello spirito di se stesso la vera strada maestra verso la beatitudine. Ed è la preghiera il mezzo privilegiato per chiedere a Dio la Grazia che permetterà di percorrere tutta la scala (concetto, quest’ultimo, già agostiniano).
San Bonaventura
Scriveva san Bonaventura, a tale proposito: «Così pregando, siamo illuminati nel conoscere i gradi dell’ascesa a Dio. Infatti, poiché nella concezione del nostro stato attuale la stessa totalità delle cose è scala per salire a Dio, e fra gli esseri creati, alcuni hanno rapporto a Dio di vestigio, altri di immagine, alcuni sono corporei, altri spirituali, alcuni temporali, altri immortali, e quindi alcuni fuori di noi, altri in noi; perché sia possibile pervenire alla considerazione del primo principio, spiritualissimo, eterno e sopra di noi, è necessario che prima consideriamo gli oggetti corporei, temporali e fuori di noi, nei quali è il vestigio e l’orma di Dio, e questo significa incamminarsi per la via di Dio»[1]. Il tutto ripreso in Scala di perfezione.
E però, essendo l’anima passata dalla vita purgativa, vien introdotta all’illuminativa, e con questo lume vede le sue colpe, vede che la vita purgativa non operava per amor retto ma per fine basso mercenario. Questo lume la fa vigilante, purificando il fondo, quale era corrotto, e comincia a conoscer a poco a poco l’indignità di questo basso amore. Ove, essendo questo lume amaestrato dal lume d’Iddio, vede in Dio che merita d’esser amato con amor filiale, spropriato; e quello che nel primo grado non vedeva, ora «per mezzo» della lucerna della vita illuminativa lo vede per caminare per la via dell’amore. E questo stato abbraccia un altro stato che chiamo stato affettivo, che li fa vedere quelle cose che vedeva nel stato affettivo, perché si muove ad operare per amore e con amore. Quest’affetto fa tutte le cose con gran consolazione e con gran prontezza, quiete e pace, e con gran gusto dell’anima sua. Questo diletto è un’unione, overo grazia dello Spirito Santo, che li fa parere tutte le cose dure, aspre e difficili dolci e soavi. Quest’affetto è molto necessario a far profitto nella perfezione perché non ha che fare la speculazione dell’intelletto con l’affetto: l’intelletto passe l’anima di curiosità, lasciandola arida, sterile, senz’alcun frutto; questa speculazione d’intelletto l’avevano anco i filosofi e pur erano infedeli. Però essorto ognuno a lasciar l’intelletto seguendo l’affetto, quale ne farà salire alla perfezione con somma pace e quiete dell’anima nostra, e ne condurrà alli pascoli soavi della carità ed unione con Dio.
L’affetto apporta all’aspirazione, che è un grado maggior perché aspira a maggior grado di perfezione, perché questo grado è un’aspirazione amorosa che ha l’anima in Dio, avendo l’affetto gustato la dolcezza di Dio. L’aspirazione poi, come grado maggiore, non solo gode la dolcezza di Dio, ma in maggior grado la gode: perché l’aspirazione è un continuo eccesso, una continua memoria dell’amato. E in quel modo ch’uno averà entro di sé qualche dolore ed affanno che continuamente geme, suspira, così dirò che l’anima, avendo una continua respirazione per l’ardente amor c’ha di far gran cose in servizio di Dio, questo non è altro se non eccesso di gran voglia di servire Dio, e questa è la causa d’una fame, d’una sete inestinguibile di Dio. Quest’aspirazione poi mostra all’anima un altro grado maggiore. (Scala, 235).
[1] San Bonaventura, Itinerario della mente in Dio, a cura di O. Todisco, in Opuscoli teologici/1, Roma, Città Nova, 1993, p. 503.