Come ogni martedì torna la rubrica dedicata alla figura di Tommaso da Olera, il frate cappuccino vissuto a cavallo tra Cinque e Seicento e proclamato Beato nel 2013. Il testo è tratto da “Tommaso da Olera, un anno con un mistico del Cuore di Gesù” di Sergio Calzone. Le riflessioni di oggi.
Essendo Nostro Signore asseso al cielo, contempla, anima devota, con che pompa fu riceuto da l’eterno Dio con quelli paraninfi celesti. Parmi veder in spirito l’eterno Dio Padre, partendosi senza mai partirsi dal suo trono, accompagnato da tuto il cielo con canti e musiche che intonavano i cielli e l’aria istessa, andò ad incontrare l’unigenito suo figlio. O Dio, o Dio, come io poverello averò ordine di scriver questo incontro? Quella gloria, quelli troffei, quelli trionfi, quelli aplausi, quelli canti che furono fatti al figliolo di Dio? E se l’apostolo San Paulo, che fu ratto sino al terzo cielo e una particella di quela gloria fu mostrata a quello santo apostolo, e tornando in se stesso disse che aveva veduto, sentitto cose che non sono lecito parlare a gli uomini perché, non essendo noi capazzi delle cose qui in terra, e come si capirà le grandezze, le richezze del cielo? Ed essendo più che vero, e come potrò io trattare della gloria, de la fellicità e incontro del figliuolo di Dio mentre entrò in quella fellizze patria? Essendo io uomo rozo, semplice, idiota, senza lettere e senza spirito di Dio, tuta volta dirò una minima particella, aiutandomi voi, o Dio mio.
Le parole del Beato Tommaso da Olera
Fu riceuto Gesù da l’eterno Dio Padre: li angeli del cielo giogivano in veder quella beata umanità del suo Dio, vedevano quelle feritte che riempivano il cielo di splendore. Portavano li misteri li santi angeli de la passione del Signore figlio di Dio e prostrati a’ piedi del loro Dio lo adoravano, lo benedicevano, vedendo quella umanità che Lucifero non volse adorare. Oh, fece al suo eterno Padre la obedienza la sua passione e morte, ringraziandolo di quanto aveva fatto per mezo suo; ringraziava il Padre il figlio della ubedienza fata, per mezo della qualle aveva redento il genere umano: ove con gloriosa maestà andava l’eterno Dio salendo di coro in coro di quelli santi angeli. Io non so quale de’ doi fusse magior: era l’eterno Dio in cielo accompagnato da tutti li angeli; andava l’unigenito figlio di Dio nel suo trono accompagnato da numero grande di angeli che erano dissesi dal cielo a ricever il loro Dio: ma di più aveva il filiuolo di Dio numero infinito di santi padri e anco molte anime che Cristo aveva liberate dal Purgatorio. Tutte queste accompagnavano il Signore: erano patriarchi, proffetti, ove quasi concorevano con quelli angeli celesti in adorare l’agnello, in lodarlo, in benedirlo, ove ognuno concoreva a chi più poteva onorar il suo Dio. Ogni coro di angeli, ove passava quella Santissima Trinità, ognuno faceva la parte sua, onorando, lodando, adorando il suo Dio trino e uno. Oh quanta allegrezza e aplauso facevano quelli angelici cori! Intonavano tuto il cielo. Oh chi fosse stato a veder e sentir quele schiere di angeli che cantavano canti novi in lode del loro fattore! (Selva, 282-283)
Rapporto tra Dio e il Figlio che si pone a esempio della famiglia perfetta: il Figlio che per primo ringrazia il Padre per averlo voluto strumento del suo volere e il Padre che compie il magnanimo gesto di ringraziare il Figlio per l’obbedienza dimostrata, per il suo sacrificio. Tuttavia, nell’essere l’Uno per l’Altro, vi è un’ulteriore armonia, quale, sembra dire Fra Tommaso, dovrebbe correre tra la capacità di un padre di riconoscere i pieni meriti del proprio figlio, e la volontà di questo figlio di obbedire, e obbedire volentieri, al volere del padre. Così, anche nel momento del trionfo massimo del suo Dio adorato, il Beato trova modo di ammonire potenti e umili sulla straordinaria importanza della famiglia cristiana.
Mors Beatae Mariae Virginis
«Pertanto, dopo avere innalzato ancora a Dio supplici istanze, e avere invocato la luce dello Spirito di Verità, a gloria di Dio onnipotente, che ha riversato in Maria vergine la sua speciale benevolenza a onore del suo Figlio, Re immortale dei secoli e vincitore del peccato e della morte, a maggior gloria della sua augusta Madre e a gioia ed esultanza di tutta la Chiesa, per l’autorità di nostro Signore Gesù Cristo, dei santi apostoli Pietro e Paolo e Nostra, pronunziamo, dichiariamo e definiamo essere dogma da Dio rivelato che: l’immacolata Madre di Dio sempre vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo.
Perciò, se alcuno, che Dio non voglia, osasse negare o porre in dubbio volontariamente ciò che da Noi è stato definito, sappia che è venuto meno alla fede divina e cattolica». Con questa «solenne definizione»[1], nel 1950, papa Pio XII proclamava il dogma dell’Assunzione in cielo di Maria Vergine.
Siamo dunque oltre tre secoli dopo quella Mors Beatae Mariae Virginis, opera non certo minore di Fra Tommaso e ora pubblicata in Selva di contemplazione.
È chiaro che, all’inizio del XVII secolo, il problema dell’Assunzione di Maria era ben lontano dall’avere l’autorevole definizione data da Pio XII, ed era, anzi, una disputa che durava almeno da milletrecento anni ed era, innanzi tutto, ulteriore motivo di separazione della Chiesa di Roma da quella Ortodossa e da tutto il movimento protestante, poiché, mentre questi ultimi non credevano (ad eccezione degli anglicani) all’Assunzione, gli Ortodossi ammettevano una «dormizione» di Maria, cioè la sua assunzione in cielo dopo la morte corporale, anche se ciò era, appunto, «ammesso», ma non costituiva materia di credo.
D’altra parte, la scelta tra assunzione e dormizione aveva trovato sostenitori dell’una o dell’altra soluzione all’interno dello stesso cattolicesimo. Il racconto di Fra Tommaso, per di più arricchito, come suo solito, di dettagli non contenuti nelle Scritture e che potremmo definire «romanzati», pur senza attribuire a questo termine alcun senso dispregiativo o limitativo; questo racconto, si diceva, illustra abbastanza bene a quali fonti si sia ispirato.
Era la gran Madre di Dio stata 63 anni in questa valle de lacrime; aveva patito tanti dolori, carica de meriti, di virtù, di santità, di perfezione, che già mai fu né sarà una donna, un uomo tanto perfetti che possa agualiarsi a una minima perfezione della nostra regina. […] Ed essendo venuto il tempo di coronar di gloria questa gran donna per condurla alle celeste nose, stava questa vergine, corona delle vergine, quando che, sapendo dal suo unigenito filio che doveva lasciar questa vita mortale per asendere a quella celeste gloria, oh che giubillo, oh che allegrezza doveva sentire quella santa purità! (Selva, 297)
Questa consapevolezza della data della propria morte, da parte di Maria, sembra essere stata suggerita a Fra Tommaso da un testo attribuito all’evangelista Giovanni: la Dormizione di Maria.