Come ogni martedì torna la rubrica dedicata alla figura di Tommaso da Olera, il frate cappuccino vissuto a cavallo tra Cinque e Seicento e proclamato beato nel 2013. Il testo è tratto da “Tommaso da Olera, un anno con un mistico del Cuore di Gesù” di Sergio Calzone. Le riflessioni di oggi.
Gesù nell’orto del Getsemani
Lo stile di Fra Tommaso, nel narrare l’avvicinamento di Gesù all’orto o giardino che sia, è talmente permeato del sentire all’unisono con Cristo, che non esita a ricorrere a un colloquio diretto con il Signore e a dare in esclamazioni che, come in altre occasioni, sono tanto appassionate quanto poco ortodosse.
O amabilissimo Iddio, o increato Verbo, dove volette andare, che fretta avette? Andate forsi a qualche banchetto a ricreazione? Ah, Dio, non vi accorgette che andate alla morte? (Selva, 218)
Non importa che questo appello sia in contraddizione con le certezze di Cristo precedentemente così ben espresse; non importa che il tono sia quasi irrispettoso! Qui è tutto Fra Tommaso che freme di dolore e di partecipazione, e non è il futuro Beato che parla, ma l’uomo di carne eppure innamorato di Dio, che non ha, nel suo amore, da essere coerente.
La sua narrazione del momento altamente drammatico vissuto da Cristo nel Getsemani è forse uno dei punti più alti raggiunti dall’autore di Selva di contemplazione.
I Vangelisono, come spesso accade, estremamente sobri.
«Giunsero a un podere chiamato Getsèmani ed egli disse ai suoi discepoli: Sedetevi qui, mentre io prego. Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia. Disse loro: La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate. Poi, andato un po’ innanzi, cadde a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse via da lui quell’ora. E diceva: Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu. Poi venne, li trovò addormentati e disse a Pietro: Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare una sola ora? Vegliate e pregate per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole. Si allontanò di nuovo e pregò dicendo le stesse parole. Poi venne di nuovo e li trovò addormentati, perché i loro occhi si erano fatti pesanti, e non sapevano che cosa rispondergli. Venne per la terza volta e disse loro: Dormite pure e riposatevi! Basta! È venuta l’ora: ecco, il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori» (Mc 14,32-41).
«Allora Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsèmani, e disse ai discepoli: Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare. E, presi con sé Pietro e i due figli di Zebedeo, cominciò a provare tristezza e angoscia. E disse loro: La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me. Andò un poco più avanti, cadde faccia a terra e pregava, dicendo: Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu! Poi venne dai discepoli e li trovò addormentati. E disse a Pietro: Così, non siete stati capaci di vegliare con me una sola ora? Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole. Si allontanò una seconda volta e pregò dicendo: Padre mio, se questo calice non può passare via senza che io lo beva, si compia la tua volontà. Poi venne e li trovò di nuovo addormentati, perché i loro occhi si erano fatti pesanti. Li lasciò, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole. Poi si avvicinò ai discepoli e disse loro: Dormite pure e riposatevi! Ecco, l’ora è vicina e il Figlio dell’uomo viene consegnato in mano ai peccatori» (Mt 26,36-45).
«Uscì e andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono. Giunto sul luogo, disse loro: Pregate, per non entrare in tentazione. Poi si allontanò da loro circa un tiro di sasso, cadde in ginocchio e pregava dicendo: Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà. Gli apparve allora un angelo dal cielo per confortarlo. Entrato nella lotta, pregava più intensamente, e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadono a terra. Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. E disse loro:Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione» (Lc 22, 39-46).
Come sempre, è Giovanni il meno propenso a dare dettagli di vita concreta: «Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cedron, dove c’era un giardino, nel quale entrò con i suoi discepoli».(Gv 18,1).
Su queste basi, Fra Tommaso costruisce un racconto di oltre quattro pagine, in cui i temi dominanti sono ciò che sia Marco che Matteo chiamano l’«angoscia» di Gesù e, collegata a quella, questo sudore mortale che si trasforma in traspirazione di sangue. Gli uni e gli altri sono, del resto, «ingredienti» che l’incipiente Barocco amerà in modo particolare e che, chiaramente, informavano già le coscienze dei pre-barocchi.
Eppure, vi è qualcosa di più. La sensibilità straordinaria e, a questo punto del suo racconto, esaltata del beato Tommaso «sente» angoscia e sudor di sangue come provenienti dalla sua stessa anima che ormai altro non è, che la «lingua mortal», la compartecipe di un evento che è in progresso di cambiare per sempre i destini del mondo.
Ecco, allora, che non è lecito risparmiare alcun dettaglio, alcuna ripetizione, poiché l’altezza del racconto non perda un ètte della sua drammatica necessità. È impossibile riportare l’intero brano, ma alcuni passi sono davvero ineludibili.
Viste alora Cristo li flagelli, la corona, le spine, la croce, le sue mane e piedi trafitti de’ chiodi, viste il costato aperto, gustò la felle mescolata con aceto. Uditti li vituperi che doveva sentir e patire, tutto il sangue si gli commosse e scorrendo al cuore in tanta angonia che, non avendo esito, si gli aprì li pori e ussì sangue in tanta abondanza che, trapassando le sante veste, bagnò anche la terra. E mi dà a credere che da quelle parte che dovevano più patire nella passione, ussisse anche in questa angonia più sangue, come fu dal capo, dovendogli esser posto la corona de spine, dal lato overo cuore, che doveva esser trafitto di lancia, e il cuore doveva esser la sentina de tutti li dolori, dalle mane e piedi, che dovevano esser trafitti de’ aspri chiodi. Or fermati, o anima mia, e vedi il tuo Cristo che sudando sangue vien palido, vedi quegli svenimenti, vedi quegli atti. Rimira, anima mia, quella facia divina coperta di sangue; vedi quegli rivoli che scorrono per quella beata facia, vedi quegli purissimi occhi de sangue coperti. O Dio, o Dio, o stupore, o excesso de la carità e amore de Dio! (Selva, 221)
Poi, il momento supremo.
Stava Cristo in genochione con la facia elevata al cielo, pregando l’eterno Padre si fusse possibile gli levasse quel calice tanto amaro; rimetteva però al voler de Dio dicendo: Non mea voluntas, sed tua fiat [Non sia fatta la mia, ma la tua volontà (Lc 22,42)]; overo non potendosi erigere in piedi né in genochione da estremo dolore, cascò in terra. Or vedi, o anima mia, quell’atto de tanta compassione che fece quando, angonizando, cascò con la facia sopra la terra, ricevendo dura percossa nel santo capo della cascata. (Selva, 221-222)