Come ogni martedì torna la rubrica dedicata alla figura di Tommaso da Olera, il frate cappuccino vissuto a cavallo tra Cinque e Seicento e proclamato beato nel 2013. Il testo è tratto da “Tommaso da Olera, un anno con un mistico del Cuore di Gesù” di Sergio Calzone. Le riflessioni di oggi.
Tu sei il Cristo
Presso Betsaida, Pietro, a una domanda precisa di Gesù, risponde: «Tu sei il Cristo!» (Mc 8,29); subito dopo Gesù profetizza che «il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere» (Mc 8,31). «Perché io vi dico: deve compiersi in me questa parola della Scrittura: E fu annoverato tra gli empi. Infatti tutto quello che mi riguarda volge al suo compimento» (Lc 22,37). «Allora Gesù disse loro: Questa notte per tutti voi sarò motivo di scandalo. Sta scritto infatti: Percuoterò il pastore | e saranno disperse le pecore del gregge. Ma, dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea» (Mt 26,31-32). E, con poche varianti formali, Mc 14,27-28. E c’è poi la testimonianza dell’evangelista Giovanni, già citata: «Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, […]». (Gv 13,1)
Mentre Fra Tommaso vi si diffonde a lungo.
O amantissima Madre, non sapete che l’eterno Padre mi mandò dal cielo a farmi uomo nel vostro casto ventre acioché con passione e morte recuperasse la salute della generazione umana? So io, o carissima Madre, che voi patirette dolori, dove che bisognerà che io adoperi la divinità per tenervi in vita, perché tanti saranno li dolori che, si la divinità non vi sostentasse, moriresti non una volta ma più volte. Ma non temete, o Madre mia, vi consoli che io sarò con voi, e si bene li dolori che patirette per mio amore sarano grandi, perché mi vederette render l’anima sul legno della aspra croce con altri patimenti: che, angosciando io in croce, angosciarette ancora voi sotto la croce, e ancora vi trapassarà l’anima quando vederette questi mei apostoli, li quali ora avette visto cibare con il mio corpo e sangue, fugire da me. E Pietro che monstra tanto di amarmi non solo fugirà, ma trei volte me negarà». Io piamente voglio credere che il figliolo de Dio andasse raccontando alla sua afflitta Madre quegli misteri che lui doveva patire e che lacrimando e singultando Maria ascoltasse il suo figliolo, e che il caro figlio consolasse la sua mesta Madre: «O Madre mia, grandi saranno li vostri dolori, ma finiranno presto; e quanto saranno grandi li dolori, magiore sarà l’allegrezza, perché il terzo giorno risuscitarò tutto glorioso e risplendente, con tanta maestà che da voi si partirà ogni dolore e sarette piena di gaudio, e tanto più sarà grande la vostra allegrezza che liberando io tanta moltitudine de’ santi padri, menandoli meco, che voi vederette. E intra li altri, vedrette patriarchi e profeti, vederette il vostro caro padre Gioachino, la vostra cara madre Anna, Gioani Battista mio precorsore, il vostro fidel sposo Gioseffo con incredibile vostra allegrezza, e parlarette con essi ed essi con voi, e con gloria e maestà voi e li mei apostoli, che redurò a l’ovile fuora di Giuda, il qualle si impicarà, difidatosi della misericordia mia. E vederettemi vostro figlio con quella moltitudine ascender al cielo, che bene vi rifarò de quanto per me averette patito». Stava la gran Madre de Dio ascoltando il suo caro figlio, piangendo amarissimamente a sentire cose tale. Oh chi fusse stato presente a veder e sentir quello che passava intra questa gran Madre e il figliolo de Dio, qual cuore non si saria liquefatto!
Va’ ora, o anima devota, e contempla quell’atto quando si licenziò il tuo Dio dalla sua amata Madre per andar alla morte. O stupore, o carità, o excesso della gran carità de Dio, chi avesse veduto li ochi de Maria e li ochi del suo amato figlio! (Selva, 216-217)
Momento straziante, certo, e tuttavia Gesù è presentato ancora saldo nelle sue certezze e sollecito soltanto di alleviare, per quanto possibile, il dolore della sua amatissima madre. Un Gesù che, conforme alla sua natura divina, conosce tutto e conosce nei dettagli, e di tutto, nei dettagli, informa Maria, del resto già prima definita, non a caso, «secretaria de’ divini misteri».
Come invece insegnano i Vangeli, dopo tanta tenerezza e tanta solennità, la narrazione si sposta nell’orto degli Getsemani. Siamo abituati a chiamarlo «orto», benché si riveli un uliveto, ma è forse opportuno riferire qui una bellissima riflessione che ci giunge dalla Comunità francescana del Getsemani (getsemani-it.custodia.org): «Giovanni usa il termine “giardino” (in greco: kêpos) e ci riferisce che Gesù spesso vi si ritirava con i discepoli (cfr Gv 18,1-2). Egli, come Adamo, è tentato proprio nel giardino, e un giardino sarà anche il luogo in cui egli verrà sepolto. Il tema teologico di Gesù nuovo Adamo, che san Paolo affronta nella lettera ai Romani (cfr Rm 5,12-21), è strettamente connesso a quello che accadde nel giardino del Getsemani.
Dio crea Adamo come primo uomo, a sua immagine e somiglianza, e lo pone nel giardino dell’Eden, il luogo in cui viene tentato e dove pecca mangiando del frutto proibito (cfr Gen 2,8-15; 3,24).
Il suo peccato si riversa su tutta l’umanità, ma Dio pone un altro uomo nel giardino: suo figlio Gesù. Il nuovo Adamo che realizza la volontà del Padre andando incontro liberamente ai suoi persecutori perché l’uomo recuperi la somiglianza con Dio. Mediante la sua obbedienza al Padre (cfr Eb 10,5ss), e vincendo la tentazione di Satana, egli diviene il nuovo Adamo e riapre il giardino, il luogo che Dio ha destinato per l’uomo, il luogo del Cantico dei Cantici in cui lo sposo incontra la sposa. Il giardino che Gesù riapre è, infatti, il luogo in cui l’incontro con Dio si fa amore e nuova alleanza».