Fra Tommaso scrive quanto segue
E ivi un bue e un asinello, o che fusse di Santo Gioseffo o di qualcun altri, connobbero questo esser il loro creatore e aver fredo: cognossendo il fiatto della Beata Vergine non esser bastante per riscaldar il suo Dio, essi, come si avessero l’uso della ragione, d’accordo andorno sopra il santo corpo e con li loro fiati riscaldorno il tenero bambino. Chi vide mai tal cosa? Voglio io ben credere che alora la Beata Vergine si rallegrasse molto in veder da duoi animali tanta pietà verso il loro creatore, cosa che non aveva fatto quel popolo ingrato di Betlehem, che non lo volse allogiare, il suo Iddio e Messia. (Selva, 153).
Le riflessioni di Papa Ratzinger
Ora, la presenza di questi animali merita la nostra attenzione. Papa Ratzinger è piuttosto categorico, al riguardo: «Nel Vangelo non si parla qui di animali»[1] E, dunque, per quanto lo riguarda, l’argomento è chiuso.
Secondo il Vangelo dello pseudo-Matteo, invece, «Tre giorni dopo la nascita del Signore nostro Gesù Cristo, la beatissima Maria uscì dalla grotta ed entrò in una stalla, depose il bambino in una mangiatoia, ove il bue e l’asino l’adorarono. Si adempì allora quanto era stato detto del profeta Isaia, con le parole: Il bue riconobbe il suo padrone, e l’asino la mangiatoia del suo signore. Gli stessi animali, il bue e l’asino, lo avevano in mezzo a loro e lo adoravano di continuo. Si adempì allora quanto era stato detto dal profeta Abacuc, con le parole: Ti farai conoscere in mezzo a due animali (14,1)».
Non ci si vuole, qui, addentrare nel valore attribuibile a tali testi, poiché ciò è compito degli specialisti, teologi e filologi, ma non vi è alcun dubbio, come ognuno di noi sa, che la «fortuna» dell’immagine del bue e dell’asinello è ormai indissolubile dal presepe. Lo stesso san Francesco, allestendo nel 1223, a Greccio, quello che può essere considerato il primo accenno di presepe, non fece altro che riunire in una stalla una greppia colma di fieno, un bue e un asino, senza, per altro, osare aggiungere chi fungesse da Gesù, da Maria e da Giuseppe.
Il bue simbolo di potenza
Da quel momento, tuttavia, l’iconografia del presepe è costantemente, fino ai giorni nostri, appunto, accompagnata da questi due animali pazienti. Non dimentichiamo che il bue compare in Ezechiele e nell’Apocalisse, simbolo di potenza del lavoro e del sacrificio; lo Pseudo-Dionigi l’Areopagita, dopo averne sottolineato la forza e la potenza, gli attribuisce la capacità di «scavare solchi intellettuali per ricevere le feconde piogge del cielo, mentre le corna sono simbolo della forza conservatrice e invincibile»[2]. A sua volta, l’asino «ha una funzione positiva nel presepe e nell’ingresso di Cristo in Gerusalemme: ma Guénon fa osservare che nel primo caso si contrappone al bue come le tendenze malefiche si oppongono a quelle benefiche e che nel secondo caso interpreta il ruolo delle forze malefiche stesse vinte dal Redentore. […] Nell’episodio della Domenica delle Palme si tratta comunque di un’asina. Nel mito del falso profeta Balam, il ruolo dell’asina è nettamente benefico […], simbolo della conoscenza, della scienza tradizionale, con un completo rovesciamento del simbolo iniziale»[3].
I Vangeli non parlino di animali
Come si schiera Fra Tommaso? Inevitabilmente, potremmo dire, con il sentire popolare e non soltanto. Aveva, del resto, almeno quattrocento anni di tradizione alle spalle e, sebbene, come ben scrive Ratzinger, i Vangeli non parlino di animali, come poteva ignorare che il suo lettore si aspettasse la loro comparsa?
Ignorando (per mera questione cronologica) i nostri dubbi e anche i rilievi più autorevoli, Fra Tommaso riprende le fila del suo racconto, e ne scaturisce altra tenerissima poesia.
Riposava in questo mentre il bambino, e svegliandosi cominciò di nuovo a piangere: e come vero Dio che era, era anche vero uomo, e come uomo piangeva di fame. Sapeva la santa Vergine che piangeva di fame ed essa Madre, benché aveva impartorito questo figliolo, non aveva però latte; ove levando la mente sua al cielo, ricorse all’eterno Padre dicendo queste e altre simil parole: «O ineffabile Iddio, avendo la maestà vostra mandato dal cielo l’unigenito vostro figliolo a prender carne umana nel mio povero ventre, dove lo portai per nove mesi, e ora lo ho impartorito in questo luogo pieno di disagio, e avendolo involto in poveri pagni, l’ho riposto in una mangiatora d’animali. Ora, o eterno Padre, il vostro figliolo piange di fame, avendo fin ora pianto di fredo e altra necessità, e io non ho che dargli, non avendo latte nelle mamelle per nutrirlo». E mentre la Beata Vergine così orava, sentì in un subito rimpienirsi quelle mamelle di latte; ove tutta contenta arringraziando Iddio si accomodò sopra il tenero bambino che di fame piangeva.
O anima divota, contempla ora quest’atto che fece la Beata Vergine, cavando di senno e mettendo alla bocca del bambino quelle mamelle. Videlo prender quel latte che viene dal cielo e con che tenereza quella Madre popava il suo figliolo. E mentre lattava, accarezzava con le manine sua Madre, la quale con dolce parole e atti incitava il suo putino a prender il latte. Godevasi la Beata Vergine in vedersi al petto il figliol di Dio, piangeva di tennerezza. Contempla ora, anima mia, come cadendo da quegli occhi le beate lacrime a guisa di perle cadevano sopra la facia del putino e anche sopra le proprie mamelle. E mentre il caro putino gustava il dolce latte, in un instesso tempo gustava anche le lacrime della Madre; ed era tanto dolce questo latte di Maria che il suo dolcissimo figliolo lo volse temperare con le lacrime. (Selva, 153-154)
Gesù è nato
È tanta la dignità di Maria, in questa sua nuova veste di madre, che della «giovenetta», della «tenera verginella» non vi è più traccia, e non ritornerà più nel racconto del Beato. Ella è ormai assurta a ben altra dignità: «La Signora con che pompa se ne stava in tanta povertà quella ch’è regina delli angeli e Madre vera di Dio (Selva, 154).
Lo ricordino, dice Fra Tommaso, tutte le sorelle dei conventi.
O tempi lagrimabili, che le spose de un tanto povero sposo vivono in tante commodità, e dirò sensualità, senza memoria squasi del loro Dio, lontane da sì caro sposo, colme d’ogni commodi! Che questa pur non è la via che ci insegna Cristo, il qualle vi chiama alla croce, alli disagi, alle mortificazione e negazione della propria voluntà, vi chiama alla povertà: udite la voce sua. (Selva, 155)
Gesù è nato. I tempi stanno compiendosi. Siamo all’inizio di quella parabola umana di Dio, che dona significato a tutta la Creazione.