La paura dell’ Inferno
La vita del contadino
Grande argomento, nelle mani di un curato. Benché, come vedremo altrove, lo stesso Fra Tommaso metterà in guardia, in Scala di perfezione, contro una condotta cristiana «finalizzata» a scampare proprio l’inferno e non invece diretta all’amore incondizionato per Dio. Altrove, i paragoni sono con la vita quotidiana del contadino. “E fece, o anima divota, il tuo Dio come faria uno che, avendo a portare un grave peso sopra le spalle, prima fa prova con missedarlo e alzarlo con le mane di quanta carga possi esser. Così il tuo amato Cristo, o anima devota, doveva portar il grave peso de l’acerbissima passione e tutti li peccati del genere umano: volse vedere questo peso e lo manegiò cioè con le mane della considerazione. E alora si gli presentò sotto li occhi tutti quegli peccati de l’universo mondo e insieme tutti quegli dolori che doveva patire e l’instessa morte; ove gli parse tanto pesante e grevo questo peso che sudava sangue in tanta abondanza che, trapassando le veste, scorse quel sudor sanguineo fin in terra. E, parendogli peso insopportabile, ricorse al suo eterno Padre, pregando che gli levasse quel sì grave peso dalle sue spalle, rimettendosi però alla voluntà de l’eterno Padre dicendo: Non mea voluntas sed tua fiat [Non sia fatta la mia, ma la tua volontà (Lc 22,42)]. (Selva, 220)
Felice anima
“Prima lo sa il contadino con quanti sudori e stente semena il grano, e con quanta amaritudine lo raccoglia e quante stente si fa nel mondo per quel pane a sustentazione del puzolente corpo e che ha da vivere una sì breve vita; quanto magiormente si ha da preparare quell’anima che ha a ricevere quel pane angelico che l’instesso Dio, l’eterno Padre, ha seminato nel ventre de Maria Vergine, vero e real cibo de l’anima nostra. Oh con quanta diligenza doveressimo noi andare a questa mensa e cibo tanto saporoso! O felice anima che con purità de mente e di corpo si unirà a questo celeste cibo! O vivanda conditta da l’instesso amor de Dio: panem Angelorum manducavit homo! [l’uomo mangiò il pane dei forti (Sal 78,25)]. Questo pane fu impastato nel ventre di Maria da l’instesso Dio, fu arostito e cotto da tanti dolori e angustie per 33 anni che stette in questa vita. Questo pane ingrassa e consola chi meglio si prepara per riceverlo; e tanto quanto l’uomo è preparato, tanto magior forza riceve. Oh quanti servi e amici de questo pane, mangiandolo, sono grassi e contenti: anzi, che questo pane fortifica, ingrassa e consola li travagliati e afflitti, che questo è il suo proprio, di refrigerare e saziare quegli che sono immersi nelli dolori de questo mondo. E però invita questo celeste pane dicendo: «Venite voi che sete aggravati, e io vi reficerò». [Mt 11,28] O beata refezione, poiché li primi credenti e devoti amici de questo pane lo ricevevano ogni giorno e gli dava tanto nutrimento che fin le tenere virginelle andavano alli martiri con tanta constanza e fortezza che oggidì il mondo resta stupito a leger le vite loro, merzé a quel celeste pane, che, essendo ingrassate de questo cibo, non stimavano né morte né vita. Chi potrà mai raccontar le lodi e grandezze, efetti e fertilità de questo prezioso pane instituito da l’eterno Dio per contento e giubilo delle anime nostre? (Selva, 212)
Un parroco un poco sprovveduto
Qui si corre pericolosamente e spericolatamente sul filo del ridicolo, con termini quali «arostito», «ingrassa», «grassi e contenti», proprio nel momento in cui si enunciano, per altro, santissime verità. Vi è poi un luogo, dove questo filo sembra spezzarsi e il santo fervore di Tommaso pare quasi ridursi alla caricatura di un parroco un poco sprovveduto. “E se, o Dio mio, sete chiamato Dio di iustizia, quante volte sete chiamato Dio di misericordia, carità e amore, Dio di ogni bene: che tuti questi sono atributi di misericordia. E se usate la iustizia contro di peccatori, sete sforzato, anzi tirato per gli capeli; ma la misericordia, oh quanto è a voi familiare! Perché a un ceno di contrizione vi placa il peccatore, a una lacrima, a un gemito, a un battimento di petto l’uomo vi lega, vi incatena, che non usate la iustizia. Non vi aricorda, o Dio omnipotente, mentre volevate distrugger il vostro populo che, mentre moriste, tenevate le mani allargate: legava voi, o Dio mio, in modo tale che non potevi mover le mani della iustizia per castigar il populo, anzi che tanto vi legava questo vostro profetta che, gridando la maestà vostra contro di esso Mosè, che non vi tenesse, che vi lasciasse castigar tante iniquità. E quanti di questi esempi, o Signore mio, vi potrei dire; e però canterò con il santo profetta: Misericordias Domini in eternum cantabo in generatione [Canterò in eterno l’amore del Signore, | di generazione in generazione (Sal 89,2)]. (Selva, 268) Pare proprio un Dio «tirato per gli capeli», per citare ancora una volta Manzoni (che non è mai esercizio privo di senso), «tirata un po’ con gli argani». Altre considerazioni sullo stesso tema sarebbero possibili, ma è forse preferibile rinviarle ai discorsi che si faranno in occasione del mese di ottobre, poiché, a pestare troppo su una singola nota, deve porsi il dubbio, ancora e sempre manzoniano: quando «l’avrò data, come si suol dire, alla luce, si troverà poi chi duri la fatica di leggerla?»