Come ogni martedì torna la rubrica dedicata alla figura di Tommaso da Olera, il frate cappuccino vissuto a cavallo tra Cinque e Seicento e proclamato beato nel 2013. Il testo è tratto da “Tommaso da Olera, un anno con un mistico del Cuore di Gesù” di Sergio Calzone. Le riflessioni di oggi.
Due vie all’umiltà
O interessi mondani, quando che tanto grande sono il tuo potere, poiché non guardi in facia né anche a Dio! Oh quanti ne precipita questo diabolico interesse e che cosa non si fa nel mondo per questi interessi che vanno per ogni luoco, stato e condizione! E sono così presentuosi che guai a chi se lassia dominare da essi, poiché non risguardano né a re né a prencipi, né a nobili né a plebei, né a vechi né a gioveni, né a religiosi né a prelati, né a uomini né a donne. Ed è tanto importuna questa proprietà e interesse che fa cadere anche gran literati e gran servi e amici de Dio, e penetra a tanto che non è tanto familiare un amico con l’altro quanto sono questi interessi alli uomini. (Selva, 199-200)
Pare quasi un passo veterotestamentario, nella accurata severità con cui coinvolge tutte le persone, a iniziare proprio dai potenti, coinvolgendo clero e letterati, accanto al popolo minuto, in un ritratto della corruzione generale che è degno di figurare accanto a quella biblica che precede il diluvio (cfr Gen 6,5-12).
Sono due le figure che Fra Tommaso ritrae, soprattutto in Selva di contemplazione, quasi a contrapporle a questo sconfortato bilancio della moralità del suo tempo, ma di tutti i tempi: da una parte, la silenziosa, fattiva umiltà di San Giuseppe; dall’altra, la passionale, «barocca» dedizione di Maria Maddalena.
Giuseppe ispirato dal Signore
Giuseppe, «santo uomo, gran servo e amico de Dio» (Selva, 137), è ispirato dal Signore circa la volontà di Maria di conservare la propria verginità, così com’egli intendeva con la propria. Fra Tommaso si avventura a ipotizzare che anche alla profetessa Anna fosse rivelato il disegno divino e che, per quel motivo, potesse dare con serenità Maria in sposa a Giuseppe. È questo un tratto caratteristico del nostro autore: il desiderio che tutto si spieghi, che tutto muova, sì, dalla volontà di Dio, ma che i protagonisti del suo disegno abbiano sempre piena conoscenza delle ragioni divine.
Proprio nei momenti dello sposalizio di Maria, Fra Tommaso accoglie la tradizione che vuole anziano Giuseppe.
Ora torniamo a Maria, la qualle, essendo ricca de meriti e carica de doni celesti, fu sposata con un santo vechio della stirpe di David. E si David fu amico di Dio, pensa che questo fu amicissimo; e si David fu santo profetta, questo fu un santo patriarca e sposo di Maria: anzi, trapassò David, perché fu padre adottativo de Dio quanto alla umanità che lui instesso nutrì, e arlevò il figliol de Dio con le sue fatiche. (Selva, 138)
È questo atteggiamento di prudente, saggio affiancamento alla Vergine che Giuseppe, in Selva di contemplazione, manterrà sempre, mai assurgendo a protagonista, ma mantenendo una presenza discreta, in un’umiltà appagata dal grande ruolo che Dio gli ha assegnato, di allevare il figlio di Dio con le sue fatiche.
La gravidanza di Maria
E questo ruolo gli viene rivelato quando, nonostante la sua potenziale santità, è ancora debole uomo e rimane perciò sconcertato dalla gravidanza di Maria. È un momento trattato con grande delicatezza da Fra Tommaso e che si risolve nella dimostrazione dell’autentica umiltà di Giuseppe.
Lassiamo per ora Maria e andiamo a Gioseffo. Era passati alcuni mesi dapoi l’incarnazione del Verbo in Maria e questo Santo Gioseffo custodiva Maria e l’amava tanto che già mai nessun sposo tanto amò la sua sposa. Ma accorgendosi Gioseffo che la sua sposa era gravida, si stupiva non sapendo che fare, e non aveva ardire di giudicare assolutamente. Diceva tra se stesso: «Vero è che mi pare che il ventre di Maria vadi cressendo, ma mi potrei anche ingannare. So pur che è divota e cara a Dio, e non posso credere che avesse fatto un torto tale». Questi e altri pensieri andava rivolgendo per la mente il povero Gioseffo; e per liberarsi da così stranei pensieri, pensava di lassiar e arbandonar Maria e andarsene per il mondo rimengando. Oh quanto dolore e affanno sentiva Gioseffo! Maria, accorgendosi della tribulazione di Gioseffo, ancora ella si affligeva e raccomandava a Iddio il suo caro sposo, pregando che lo liberasse da’ molesti pensieri. Il celeste Signore, essaudiendo li prieghi di Maria, mandò un angelo, il qualle apparve in sogno a Gioseffo, dicendogli che non temesse della sua sposa Maria, perché era gravida per opera del Spirito Santo e che era e saria vero figliolo di Dio, facendolo capace del misterio dell’incarnazione, levandogli ogni timore. E destandosi il Santo Gioseffo tutto giubiloso e allegro, vedendo che la sua sposa era fatta Madre di Dio e che lui doveva esser padre apputativo, parmi veder in spirito che questo santo sposo, correndo come frenetico di amore, andasse a ritrovare Maria e che genuflesso adorasse Maria e il figliol di Dio in quel santo ventre. E poi, dimandando perdono a Maria, dicesse sua colpa, si bene non peccò, perché non acconsentì alli pensieri che gli passavano per la mente, ma per umiltà sua lo fece. (Selva, 145-146)
Ecco la vera umiltà. Giuseppe potrebbe tacere i suoi dubbi ma sarebbe stato lasciare che la sua sposa avesse un’idea di lui che non corrispondeva al vero; ed ecco, perciò, la necessità di confessare subito e per intero quella che non era una colpa ma che un’anima davvero umile non può nascondere, tanto meno alla madre del suo Salvatore.