Con la sentenza 242 del 2019 la Corte Costituzionale individua una condizione di possibile non punibilità di “chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile” ma “non legalizza tuttavia l’eutanasia, anzi afferma anche che la garanzia per il cittadino di un percorso di cure palliative e gestione del dolore cronico rappresenta un prerequisito inderogabile, una priorità assoluta per le politiche della sanità, affermazione in perfetta sintonia con il Comitato Nazionale per la Bioetica”.
La nota delle Associazioni cattoliche
È quanto si legge in una nota delle presidenze nazionali dell’Associazione medici cattolici italiani (Amci), della Federazione europea associazioni medici cattolici (Feamc), del Centro italiano femminile (Cif) delle Crocerossine d’Italia e del Forum sanitario. “Si comprende – affermano i firmatari della nota – che l’esortazione della Consulta rivolta al Parlamento della Repubblica a normare la sentenza, cioè a tradurre la sentenza in una legge che sia unica per tutti i cittadini italiani, non può essere recepita, da un punto di vista giuridico, autonomamente dalle singole Regioni, sulle quali piuttosto grava l’obbligo di dare piena attuazione alla legge 38/2010 sulle cure palliative ed il trattamento del dolore cronico, il cui stato di avanzamento non è ancora pienamente realizzato sul territorio nazionale e non è idoneamente supportato da politiche di formazione e informazione del cittadino”.
La proposta di legge va oltre i limiti
La proposta di legge, già bocciata dal Consiglio Regionale e che parla di “Assistenza sanitaria per la morte serena e indolore per pazienti terminali”, definita dalle associazioni “non sostenibile sia dal punto di vista scientifico che metodologico”, sembra, secondo le organizzazioni – “andare ben oltre i limiti dell’aiuto al suicidio, aprendo di fatto la porta al concetto di eutanasia propriamente detta, ovvero all’intento di abolire la sofferenza eliminando il sofferente”. Numerosissime associazioni, si fa presente nella nota, “desiderano sottolineare che le prospettive di fine vita richiedono maggiori investimenti nell’assistenza territoriale e domiciliare, migliori politiche attive e consistenti aiuti economici per quelle persone che hanno familiari non autosufficienti a carico e che una società opulenta come la nostra debba sentire come obbligatoria la necessità di dare una risposta ai bisogni degli anziani, soprattutto se poveri, soli e non autosufficienti.
Le proposte alternative
Anziché riproporre leggi eutanasiche si dia un immediato reale potenziamento all’assistenza dei pazienti con le più gravi, croniche e progressive patologie, idoneo sostegno alle famiglie, piena fruibilità di cure palliative in ogni età e ovunque”. Da qui la richiesta che “sia riassegnata alla competenza nazionale il compito di normare questo delicato periodo di vita, per non frammentare l’omogeneità delle risposte, delle norme e delle condotte che si chiede agli operatori sanitari di erogare su tutto il territorio nazionale. Su temi di così altra rilevanza etica è necessaria una univoca determinazione nazionale proprio nel rispetto di quanto auspicato dalla Corte Costituzionale”. Le presidenze nazionali dell’Amci, della Feamc, del Cif, delle Crocerossine d’Italia e del Forum sanitario, anche a nome di tutti gli aderenti, “fanno propria” l’esortazione della Conferenza episcopale pugliese e dei vescovi, che invitano la società tutta ad una prudente valutazione della realtà senza assolvere le inadempienze finora evidenziate che se risolte con percorsi legislativi di ripiego rischiano di non essere rimedi efficaci sia a livello scientifico che umano. “Occorre comprendere – termina la lettera – le urgenze e creare nuove opportunità di apertura al mondo della sofferenza, che non ha colore di parte, non ha bandiere, non ha credo, ma impone umiltà di giudizio, senza presunzione di attribuire colpe o indicare colpevoli”.