“Siamo grati a papa Francesco per la sua profezia, così rara oggi, quando parlare di pace sembra evitare di schierarsi o non riconoscere le responsabilità. La sua voce si fa carico dell’ansia profonda, talvolta inespressa, spesso inascoltata, dei popoli che hanno bisogno della pace. La guerra è una pandemia. Ci coinvolge tutti. Nel recente viaggio in Ungheria, si è interrogato: ‘Dove sono gli sforzi creativi di pace?’. Lasciamoci inquietare da questa domanda, perché non rimanga solo la logica spietata del conflitto”. Così il card. Zuppi all’assemblea Cei. “Per noi la pace non è solo un auspicio, ma è la realtà stessa della Chiesa, che germina – come il segno di pace – dall’Eucaristia e dal Vangelo. La Chiesa e i cristiani credono nella pace, siamo chiamati a essere tutti operatori di pace, ancora di più nella tempesta terribile dei conflitti”, ha affermato.
Siamo il popolo della pace
“Siamo il popolo della pace, a partire da Gesù che è la nostra pace – ha sottolineato il presidente della Cei -. Lo siamo per la storia del nostro Paese, per la sua collocazione nel Mediterraneo, cerniera tra Nord e Sud, ma anche tra Est e Ovest”. “Lo siamo – mi sembra – per le radici più profonde e caratteristiche del nostro popolo – ha proseguito, nella sua introduzione ai lavori dell’assemblea generale dei vescovi -. Come cristiani italiani, con il Papa, siamo chiamati a una fervente e insistente preghiera per la pace in Ucraina e perché ‘si affratellino tutti i popoli della terra e fiorisca in essi e sempre regni la desideratissima pace’ (Pacem in terris, 91)”. “Preghino tutte le nostre comunità intensamente per la pace!
I conflitti si moltiplicano
L’impegno di intercessione cambia la storia, come diceva Giorgio La Pira. C’è una cultura di pace tra la gente da generare e fortificare”, ha aggiunto il card. Zuppi, secondo cui, “tante volte l’informazione così complessa spinge all’indifferenza, a essere spettatori della guerra ridotta a gioco”. “La solidarietà con i rifugiati – quelli ucraini, ma non solo – è un’azione di pace”, ha osservato. “I conflitti si moltiplicano. Penso al Sudan e al suo dramma umanitario. In un mondo come il nostro non possiamo prescindere da una visione globale – ha concluso Zuppi -. Seguire le vicende dolorose dei Paesi lontani, con la preghiera e l’informazione, è una forma di carità. Del resto la cultura della pace è un capitolo decisivo della cultura della vita, che trae ispirazione dalla fede”.
L’accoglienza e la natalità non si contrappongono
“Spesso le giovani coppie non riescono a costituire una famiglia semplicemente per la precarietà del lavoro o la mancanza di politiche di sostegno, a cominciare dalla casa. Quello della famiglia ha una ricaduta diretta su un altro tema, che ormai si presenta come una drammatica tendenza negativa pluriennale: si tratta della crisi demografica”. Lo ha denunciato il card. Matteo Zuppi, introducendo stamane i lavori dell’Assemblea generale della Cei. “E’ tutto il Paese a soffrire una crisi – ha sottolineato – e questa ha a che vedere anche con l’accoglienza di migranti e la loro inevitabile integrazione nella nostra società. Accoglienza e natalità, ha ricordato PapaFrancesco, non solo non si oppongono ma si completano e nascono dal desiderio di guardare al futuro”. Secondo Zuppi, “la questione demografica e tutte le questioni sociali meritano attenzione e politiche lungimiranti. È sbagliato contrapporre o separare valori etici e valori sociali: sono la stessa cultura della vita che sgorga dal Vangelo!”. “La cultura della vita – ha sottolineato – sa che essa nasce e cresce nella famiglia e che tutto non dipende dal proprio volere soggettivo che arriva a giustificare la cosiddetta maternità surrogata, che utilizza la donna, spesso povera, per realizzare il desiderio altrui di genitorialità”. Papa Francesco, ha proseguito, “ha ben chiarito come natalità e accoglienza siano nello stesso orizzonte di apertura al futuro: ‘Non vanno mai contrapposte perché sono due facce della stessa medaglia, ci rivelano quanta felicità c’è nella società’ (Discorso ai partecipanti alla III edizione degli Stati generali della natalità, 12 maggio 2023)”. Invece, “l’accoglienza della vita nascente si accompagna alle porte chiuse a rifugiati e migranti. È la triste società della paura”.
Non seminiamo ostacoli
Per il presidente della Cei, “chiudere le porte a chi bussa è, alla fine, nella stessa logica di chi non fa spazio alla vita nella propria casa. Del resto abbiamo bisogno di migranti per vivere: li chiedono l’impresa, la famiglia, la società. Non seminiamo di ostacoli, con un’ombra punitiva, il loro percorso nel nostro Paese!” “C’è un livello di difficoltà burocratica che rende difficile il percorso d’inserimento, i ricongiungimenti familiari, il tempo lungo per ottenere i permessi di soggiorno, mentre si trascurano i riconoscimenti dei titoli di studio degli immigrati (che pure sono un valore per la nazione) o ancora si rimanda una decisione sullo ius culturae. Intanto la regolarizzazione del 2020 attende in parte di essere ancora espletata. Non è dare sicurezza, anzi esprime la nostra insicurezza”, ha osservato Zuppi.