Noi siamo abituati a dire che il “Padre Nostro” è la preghiera di Gesù: questo è vero in quanto Gesù lo ha insegnato quando gli Apostoli gli hanno chiesto “insegnaci a pregare”. Da buoni ebrei erano abituati a ripetere i salmi ed erano meravigliati e stupiti dal modo di pregare di Gesù col Padre: un dialogo intimo, intenso, fatto di sguardi e di racconti più che di formule. Non un rito tra fedele e divinità, ma un rapporto tra figlio e padre.
La Messa: la preghiera di Gesù
La Messa invece è la preghiera “sua” di Gesù al Padre a cui a noi è donato di partecipare. La liturgia dice infatti che il prete agisce “in persona Christi” per questo è rivestito dei paramenti. È Cristo che celebra. In quel momento come dice San Paolo “non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me. Dio pone il suo tesoro in vasi di creta e sceglie ciò che è debole perché appaia la sua potenza”. Vale in modo totale per il prete, ma dovrebbe valere anche in parte per il fedele chiamato a entrare dentro questo mistero. Tanto per cogliere questa densità vi invito a notare un particolare: la simpatica familiarità di Papa Francesco con la gente è ovvia per tutti ma osservatelo quando celebra. Quando ha i paramenti e inizia una celebrazione non saluta nessuno dei fedeli, anche nel corteo: non si scompone mai. Se chiedessi quale è il momento più importante della Messa, la maggioranza risponderebbe la consacrazione, qualcuno forse direbbe le letture o l’omelia. Il cuore della celebrazione, il punto più alto e più importante è il “per Cristo, con Cristo, in Cristo” proprio perché è la “sua” preghiera. È il momento sacerdotale per eccellenza in cui un prete nella propria fragilità unisce Dio e l’uomo, agendo “in persona Christi” (che è vero uomo e vero Dio) diventando così anello di congiunzione. Per questo viene detta esclusivamente dal prete e se ci sono più preti la dicono insieme e condividono l’offerta di Cristo.
Il pane e il vino
Abbiamo ascoltato la “sua” Parola, abbiamo posto sull’altare il pane (simbolo di ciò che siamo) e il vino (simbolo di ciò che abbiamo bisogno per vivere). Gesù li trasforma nel suo corpo e nel suo sangue, nella sua presenza reale. Quindi, per/attraverso Cristo (rappresentato dal sacerdote), noi offriamo al Padre il dono più prezioso che è il suo stesso Figlio (con Cristo) e lui ci dona il massimo cioè di diventare figli nel Figlio (in Cristo). Per Cristo, con Cristo, in Cristo, la Messa è la debolezza di Dio e la forza dell’uomo. Infatti lo si dice in piedi, perché è verbo della risurrezione. Letteralmente in greco “risorto” è “colui che sta in piedi”. La morte è ciò che abbatte, che stende, che immobilizza. Cristo è il morto che sta in piedi. Dritto perché vincitore. Quindi davanti a Dio “per Cristo, con Cristo, in Cristo” noi possiamo stare in piedi come figli: non siamo sudditi inginocchiati allo sgabello del re, non siamo colpevoli chini al banco degli imputati da giudicare, non siamo spettatori davanti a un personaggio importante: siamo figli che possono guardare dritto negli occhi il loro padre. Che tristezza quando questo momento diventa il passaggio di sistemazione e viene sprecato, sciupato, inquinato da movimenti, da rumori, da spostamenti. Per Cristo, con Cristo, in Cristo, sfocia nel Padre Nostro. La preghiera “di” Gesù, la “sua” offerta, dà quindi a noi la possibilità di rivolgerci a Dio chiamandolo Padre: è la consegna di un dono e di una responsabilità. L’essere figli ci rende fratelli, il passo ulteriore è “ricevere” e poi “scambiare” la “sua” pace per diventarne contagiosi (non è “darsi” la pace o “fare” pace).
La Messa è sempre comunitaria
Proprio perché è “per Cristo, con Cristo, in Cristo” la Messa è sempre comunitaria. Non si è vicini, ma in comunione. Non si è da soli, ma dentro un corpo di cui si è membra vive. Papa Francesco ha ribadito: “La Messa non è una riunione di credenti per pregare insieme.Non è una rappresentazione, ma è proprio vivere un’altra volta l’ultima cena, la morte e la risurrezione di Gesù. Devo andare a sentire messa. No! La messa non si sente! Si partecipa! Una cosa è pregare in chiesa e un’altra cosa è la Messa: è entrare in Dio”. Quindi se è un corpo, ogni organo (visibile o nascosto) deve dare il meglio di sé, per quello che è, e dove è (non fa come vuole). In un corpo un pezzettino insignificante fuori posto è ad esempio l’unghia incarnita. Un nulla, ma fa male a tutto il corpo: la mente non si concentra, non riesci a camminare, non fai bene le cose più normali. Di un male diciamo è “un disturbo”, quindi ogni disturbo a Messa è un male per tutti. Ogni cosa fuori posto è un’unghia incarnita. Provocando. Se uno si gonfia nella comunità, è un ascesso. Se uno intacca altri contro l’unità, è un tumore. Se uno “esce” dal suo posto, ma infido non si fa vedere è una emorroide. Se tutto questo non ti dà fastidio e non ti fa male, vuol dire che non sei parte di quel corpo. Vale innanzitutto per chi svolge un servizio all’altare. Se ci fosse il Papa faremmo tutto in punta di piedi, controllando ogni dettaglio, con timore a muoverci. Se noi diciamo che qui c’è Dio e non usiamo almeno la stessa attenzione che avremmo davanti al Papa vuol dire solo una cosa: che non ci crediamo che c’è Dio. Vale anche per tutti i fedeli. Ogni mediocrità, leggerezza, superficialità (e va beh tanto, cosa vuoi che sia…) è mancare di rispetto a Dio e al suo corpo che è la comunità. Gli antichi insegnavano a chiedere in dono allo Spirito Santo il “timore di Dio”, che non è la paura del giudizio, ma il timore di sciupare qualcosa di prezioso, la premura amorosa a fare le cose bene per chi amo. Così non è possibile che nel momento in cui io vivo in modo massimo l’essere “per Cristo, con Cristo, in Cristo”, cioè nel momento della comunione, non riesco a stare zitto tornato al posto per parlare solo con lui. Vuol dire che sono lì solo a fare un rito. Si dice infatti “è fuori posto”… e allora è meglio andare al bar!
La Messa è sempre uguale
Proprio perché è “per Cristo, con Cristo, in Cristo” la Messa è sempre uguale. Quando una persona è innamorata ha bisogno di ripetitività per saldare il legame: la nostra canzone, il nostro locale, i nomignoli… È tanto importante questo aspetto relazionale dell’uomo che portato all’eccesso conduce alla superstizione: se non faccio esattamente in quel modo una tal cosa poi mi va male. Se uno non ti ripete da un po’ di tempo che ti vuole bene, ti manca. Anche se non ti dice mai nulla di nuovo, se non ripetere la stessa cosa. Siamo noi che cambiamo ogni volta, in base alle stagioni della vita, ma anche in base a come è andata la settimana o la giornata stessa. Sono io che mi metto in gioco. Così è in amore, così è con Dio. Proprio perché è “per Cristo, con Cristo, in Cristo” la Messa non ha prezzo. In Gesù è presente e celebra tutta la comunità del cielo. Per questo è l’unica preghiera che può dare suffragio ai morti. Non ha prezzo: l’offerta non è per il prete, ma un “rendere grazie”: un dono (es. per il compleanno) fa germogliare un sorriso, quindi quel dono per un defunto fiorisce nella vita di chi riceve una carezza di carità. Se è per i vivi chiedo alla comunità di unirsi perché diventi preghiera di Gesù (non “a” Gesù) un mio bisogno.
La Messa è Cristo centrica
Proprio perché è “per Cristo, con Cristo, in Cristo” la Messa è cristo-centrica. Proviamo a pensare alla logica “dell’insalata lavata”. Quando si lava l’insalata si versa tanta acqua, ma niente viene trattenuto. Eppure l’insalata è lavata, proprio dall’acqua che viene persa. Quante volte siamo a Messa e ci vengono riversati addosso litri di parole, ma avvertiamo che il nostro cuore è pieno di tanti piccoli fori e tutto fuoriesce. Non siamo guasti e rovinati, ma siamo fatti così. Dovremmo renderci conto che è Dio che agisce in noi e non siamo noi che dobbiamo dare qualcosa a lui. Dio crede in me più di quanto io creda in lui, Dio agisce in me più di quanto io faccia qualcosa per lui. E come l’insalata si ritrova pronta ad essere mangiata così noi, attraversati da Dio, diventiamo cibo condiviso, proprio come lui è diventato pane per noi. Sono andato a Messa “PER” Cristo (per incontrarlo), sono stato “CON” Cristo (in unione con lui, unione-con = com-unione, non vicini ma dentro), quando esco vivo “IN” Cristo: cioè lui diventa lo stile e il criterio, il colore e il sapore, con cui faccio le scelte quotidiane.