Come ogni martedì torna la rubrica dedicata alla figura di Tommaso da Olera, il frate cappuccino vissuto a cavallo tra Cinquecento e Seicento e proclamato Beato nel 2013. Il testo è tratto da “Tommaso da Olera, saggezza umana e sapienza divina” a cura di Clemente Fillarini, Messaggero di Sant’Antonio Editrice.
La riflessione di oggi
Maria andava pensando se non avesse forse dato disgusto al suo caro Figliolo per essersi da lei allontanato. Oh che ragionamenti faceva col santo sposo Giuseppe! (I 377).
Notiamo subito nella Vergine un alto senso di riflessione e di autocritica: teme d’aver offeso Gesù. Noi invece siamo piuttosto propensi a dare la colpa all’altro quando vi è un disaccordo (o, peggio ancora, un distacco fisico e affettivo), anziché domandarci dove possiamo aver sbagliato noi e cercare una riconciliazione. Grave è certamente un disgusto recato a un’altra persona, ma più grave è quello che si può dare a Dio, sommo bene.
«O Dio dell’anima mia, avesti ricevuto molti disgusti [dagli egizi e dal faraone] avendo tiranneggiato il vostro popolo eletto, non volendo obbedire a Mosè vostro servo, né lasciar partire il popolo: e voi lo castigaste giustamente» (I 179). «Se vorrai salire in alto, impara a discendere al basso nella tua nichilità. E se vorrai dar gusto a Dio, devi disgustare te» (II 312). L’anima, «avendo superate molte difficoltà, finalmente troverà Iddio avendolo presente in ogni luogo e tempo, perché questa presenza di Dio gli farà parer le fatiche riposo, i disgusti somma quiete e pace» (II 507); ed è «tanto gelosa di non disgustar il suo diletto che sempre vigila, ma vigilanza che porta all’anima se non diletto; e questo per la lunga pratica che ha fatto vincendo se stessa» (III 228). Purtroppo anche coloro che servono Dio «sono incostanti, immortificati, amatori di se stessi, inquieti, instabili, che non vogliono sentire un disgusto […] e seguitano solo quelle cose che sono di loro gusto» (II 300).