Come ogni martedì torna la rubrica dedicata alla figura di Tommaso da Olera, il frate cappuccino vissuto a cavallo tra Cinquecento e Seicento e proclamato Beato nel 2013. Il testo è tratto da “Tommaso da Olera, saggezza umana e sapienza divina” a cura di Clemente Fillarini, Messaggero di Sant’Antonio Editrice.
La riflessione di oggi
Dove sono ora [o Pietro] le promesse che facesti al vostro Cristo, che più presto saresti morto che negar il vostro maestro? E pur una fantesca ve lo fa negare con giuramento (I 257); Tre volte lo hai negato e con giuramento hai protestato di non lo aver conosciuto (I 417).
Il giuramento è un atto e una formula con cui si invoca la divinità a testimone della verità di quanto si afferma, o come garante e vindice di una promessa, attirando su di sé (o su persone o cose care) la maledizione o la punizione se si manca agli impegni assunti. Purtroppo tante volte si giura il falso, credendo di “farla franca”, talvolta ingannando perfino i giudici. Pure il nostro fra Tommaso ha fatto dei giuramenti (in particolare emettendo i voti religiosi), ma siamo certi che, nella sua sincerità, onestà e umiltà non ne sarà mai venuto meno; inoltre spesso giura sulla verità di quanto scrive.
«La virtù è tanto cara a Dio che Dio giura di non voler esser amico dell’uomo se non sarà vestito di virtù» (II 86).
«Confesso e giuro che senza il vostro aiuto non posso osservare questa legge d’amore» (II 310). «Giuro a Dio e lo prego che faccia aprir la terra e mi divori se io in ciò ti dirò bugia, perché tutto sarà verità approvata e autenticata» (III 88); «E giuro per Iddio vivente, e che Dio non abbia di me misericordia mai se io non dico la verità» (III 160).
«Io confesso e giuro, o caro e ineffabile Dio, che voi siete un mare maggior d’ogni vero bene» (II 202). A una persona che per tre volte giurò il falso, scrive: «Dio gliela mandi buona» (IV 190).
«Io giuro, per quel Dio sommo bene, che tra tutte le sette [eretiche] non ritrovo le più infami e le più ridicolose quanto sono quelle di Lutero e di Calvino» (III 81). «E giuro per quel Dio colmo d’ogni amore che chi non gusta l’amore puro di Dio non può, non può sapere che cosa sia bene in questa vita» (II 157).