Come ogni martedì torna la rubrica dedicata alla figura di Tommaso da Olera, il frate cappuccino vissuto a cavallo tra Cinquecento e Seicento e proclamato Beato nel 2013. Il testo è tratto da “Tommaso da Olera, saggezza umana e sapienza divina” a cura di Clemente Fillarini, Messaggero di Sant’Antonio Editrice.
La riflessione di oggi
Credi tu che la discordia, l’inquietudine, la divisione e disunione possano stare con gli amici di Dio? (III 198).
Ogni giorno constatiamo quanto poco accordo vi sia nelle nostre famiglie, perfino per delle inezie, e ancor più nella società, anche riguardo alle cose più elementari e ovvie, palesemente causato da interessi personali o di partito che si vogliono portare avanti. E da piccoli disaccordi e contrasti si giunge talora a rotture non più sanabili se non con grandissima umiltà da parte di tutti i contendenti.
«Essendo gli eretici di tanti pareri e tante volontà, e così tra di loro discordi, non vi è Dio con essi, ma nell’unità e verità della fede cattolica romana» (III 133); «Perché vi sono se non sette sopra sette tra gli eretici? Segno che in essi non è Dio, bensì il diavolo seminatore di discordie» (III 144-145). La concordia e l’unità in questa vita sono come un anticipo del paradiso, ove «non vi sono discordie, ma il tutto concorde e unanime e tranquillo e quieto; che ivi è un continuo splendore, ma di questo tanto più chiaro quanto più felice, essendo illuminatore Iddio e i santi come stelle fulgenti e risplendenti» (II 437).
Nell’uomo non ci deve essere discordia tra l’anima e il corpo, «il quale, non avendo in sé ragione, vivrebbe come animale, rivolgendosi nel fango dei vizi e peccati; ma il nostro Dio ha dato la parte superiore, che è la ragione, lo spirito, acciò sii guida, scorta e norma della porzione inferiore, cioè del corpo predetto, ammaestrandolo e, a guisa di cavallerizzo, raffrenandolo e mortificandolo, levandogli la fierezza, la bestialità, il vizio, il peccato e quella cattiva inclinazione al male con discipline, col digiuno e con mortificazioni, sin tanto che si è ridotto all’ubbidienza e, per così dire, s’è spiritualizzato. Di dove poi ne avviene questa concordanza, che l’una e l’altra parte dell’uomo attende alle cose spirituali e celesti e all’acquisto delle sante virtù: col mezzo delle quali poi felicemente perviene al suo fine, che è Dio benedetto; del quale quell’anima che a tal segno è arrivata talmente resta riempita che è forza ne senti e partecipi anco il corpo, non altrimenti che a guisa di quel vaso nel quale vi sii stato qualche odorifero liquore, della cui soavità ancor esso partecipa» (III 148).