Come ogni martedì torna la rubrica dedicata alla figura di Tommaso da Olera, il frate cappuccino vissuto a cavallo tra Cinquecento e Seicento e proclamato Beato nel 2013. Il testo è tratto da “Tommaso da Olera, saggezza umana e sapienza divina” a cura di Clemente Fillarini, Messaggero di Sant’Antonio Editrice.
La riflessione di oggi
Ma poco durò questo incontro [di Gesù e Maria], perché i manigoldi, dubitando che morisse avanti che avessero tempo di inchiodarlo alla croce, si affrettavano (I 246).
Qui, lungo la via del Calvario, per condannare un innocente c’è tanta fretta, come purtroppo capita spesso per chi opera il male. Magari ci fosse la stessa sollecitudine e tanto zelo anche in coloro che si impegnano in opere buone. Però è sempre necessaria prudenza e riflessione, sotto tanti punti di vista, prima di iniziare un’opera perché, come dice il proverbio, «La fretta è una cattiva consigliera». Fra Tommaso scrive della fretta di Gesù nel portare a termine l’opera di salvezza, e dell’anima per raggiungerla.
«Gesù era nell’orto in agonia, non si poteva reggere in piedi per debolezza e uscita grande del sangue; nientedimeno quando vide da lontano che venivano a prenderlo, legarlo, divenne forte: andò in fretta verso la turba, e questo per il suo amore verso l’uomo» (cf. II 318). «O Dio, fermatevi: che cosa è questa che andate alla morte tanto in fretta? So ben che l’amor vostro è senza termini e misura, e vi fa allungare i passi affrettandovi alla morte» (I 227), «andate forse a qualche banchetto a ricreazione? Ah, Dio, non vi accorgete che andate alla morte?» (I 218). «Voi, o Maria, più non tardate, affrettate i passi vostri e sommergetemi in questo profondo mare d’amore!» (II 230). «Un tempo era frequentata la strada della mortificazione […], e tanti si affrettavano per conseguir il desiderato fine (II 451). In una lettera: «Oh, quanto si compiace Dio in esser amato con alto fine, con efficaci motivi! In questo amore vi lascio, o caro amico di Dio, e, per pressia [fretta], la stringo e bacio caramente in Cristo» (IV 165).